23 dicembre 2022 09:56

A partire da quale momento una democrazia diventa “illiberale”, ovvero smette di essere uno vero stato di diritto? L’espressione “democrazia illiberale” finora era stata riservata soltanto a paesi come l’Ungheria di Viktor Orbán, ma presto rischia di applicarsi anche Israele e alla coalizione guidata da Benjamin Netanyahu.

Il vincitore delle elezioni del 1 novembre si è preso un po’ di tempo, ma alla fine ha presentato una coalizione già considerata come la più sbilanciata a destra nella storia del paese. Questa definizione, comunque, non fornisce davvero la misura del sisma politico che ha colpito Israele.

In passato i partiti a cui oggi si appoggia Netanyahu per tornare al potere erano marginali e screditati per le loro posizioni razziste, omofobe o violente. Ora, invece, hanno fatto un balzo elettorale in un clima di impasse politica. Diventati indispensabili, hanno ottenuto incarichi insperati: sicurezza, finanze, controllo della questione palestinese.

Democrazia intaccata
Soprattutto questo partiti hanno strappato a Netanyahu la promessa di introdurre leggi che intaccheranno in parte la democrazia israeliana.

Israele non ha una costituzione. È la corte suprema a garantire il funzionamento democratico del paese. La coalizione però vorrebbe che fosse possibile annullare una decisione dell’alto tribunale con una maggioranza dei due terzi in parlamento, mettendo in discussione uno degli elementi che nel 1948 erano stati alla base della creazione dello stato ebraico.

Itamar Ben-Gvir è un suprematista ebraico e avrà il ministero della sicurezza. Il sostenitore dei coloni, Bezalel Smotrich, controllerà il tesoro

Inoltre la coalizione vorrebbe annullare le leggi che escludono dalla vita politica le persone condannate per razzismo e quelle che vietano di separare le donne dagli uomini negli spazi pubblici.

Ognuna di queste proposte porta il segno delle due formazioni estremiste che sono state decisive per il ritorno di Netanyahu al governo. Fino a pochi anni fa i leader di questi due partiti erano lontanissimi dai corridoi del potere.

Il primo, Itamar Ben Gvir, è un suprematista ebraico fedele al rabbino estremista Meir Kahane, assassinato nel 1990. Ben Gvir gestirà il ministero della sicurezza pubblica, con responsabilità allargate. Il secondo, Bezalel Smotrich, è il leader di un partito di estrema destra religioso legato alle colonie della Cisgiordania. A lui toccherà il ministero delle finanze, anche in questo caso con responsabilità sui palestinesi.

Le conseguenze di questo cambiamento potrebbero farsi sentire in tre ambiti. Il primo è quello della società israeliana, che sarà sottoposta a un test politico senza precedenti. La società civile teme una regressione democratica.

Il secondo è quello dei rapporti con i palestinesi, con il rafforzamento di uomini che in passato hanno sostenuto l’idea di espellerli, annettere i loro territori e perfino di privare gli arabi israeliani della cittadinanza. Il 2022 è stato segnato da un aumento della violenza. Il 2023 comincerà sotto il segno della tensione.

Il terzo ambito è quello delle relazioni internazionali, per un paese che da tempo cerca di vendersi come “l’unica democrazia del Medio Oriente” e ha stretto rapporti strategici anche con alcuni paesi arabi. Segno dei tempi che cambiano: chi è il primo capo di stato ad aver chiamato Netanyahu per fargli le congratulazioni il 22 dicembre? Vladimir Putin.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

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