«Che fai qui?», chiede Roman, in italiano. Siamo a Druzhivka, dove oggi si prende l’unica strada sicura verso Bakhmut. In queste ore, secondo alcune indiscrezioni raccolte in città, gli ucraini starebbero tentando una sortita per ricacciare indietro le forze russe su almeno uno dei due lati.

Verso Soledar sembra improbabile, più plausibile in direzione di Krasna Hora, dove pochi giorni fa una manovra simile ha avuto successo.

DRUZHIVKA è abbastanza lontana dal fronte da essere viva, ma ogni tanto i boati dell’artiglieria si sentono lo stesso. Nel piazzale antistante il mercato ci sono sempre militari di passaggio o in pausa, qualcuno se ha tempo si ferma anche a mangiare dal simpatico azero che, nonostante tutto, griglia pezzi di maiale quasi tutti i giorni. Ieri però ha nevicato senza sosta e le temperature sono di nuovo scese drasticamente: il piazzale era deserto.

Roman indossa l’uniforme ma non il giubbotto antiproiettili e non è neanche armato, fatto strano da queste parti. Spesso anche per prendere un caffè devi farti strada tra un kalashnikov a tracolla e una mitraglietta sporgente. Dopo avergli spiegato che sono un giornalista, gli chiedo perché parla italiano.

«Vivo in Italia da 6 anni, a Torino; mia moglie e le bambine sono lì ora. Non li vedo da un anno». Lui è rientrato in Ucraina poco prima della guerra per questioni che non specifica e poi si è arruolato.

Perché? «Cosa dovevo fare, dal Paese non potevo più uscire, di stare senza far niente non mi andava e allora mi sono arruolato». Poi, come per un ripensamento, aggiunge: «Avevo già fatto la leva da ragazzo, tanto valeva farci qualcosa». Il suo reparto era di stanza nell’est, lui ha combattuto per un periodo a Soledar prima di essere ferito. «Un cecchino mi ha bucato un polmone, sono stato le ultime settimane in ospedale».

«MA TI HANNO FATTO già tornare al fronte?», chiedo un po’ stupito. «No, devo prendere dei documenti, ho ancora delle visite da fare, tornerò a Odessa per la convalescenza». «Fin qui per un pezzo di carta?», insisto. «È la burocrazia, sempre una rottura di scatole, solo se muori ti lasciano in pace». Ride, anche perché è contento di tornare a Odessa.

«Sei stato? – chiede – Lì alla fine qualcosa da fare la trovi, ci sono un po’ di posti aperti, non è come..,» si ferma per cercare una parola e poi dice solo «questo». «Ma la situazione qui com’è?», chiedo a Roman. «Sei entrato a Bakhmut? – risponde lui – Davvero? Non hai avuto paura? Se non fossi militare col cavolo che ci andrei, è una cosa da pazzi».

«Ma ci sono anche dei civili che vivono ancora lì», obietto. «E infatti quelli cosa pensi che siano? Sono tutti matti, o lo diventeranno. Come diavolo si può restare in quel buco infernale non lo capisco».

Provo a chiedergli se è vero che i russi hanno ricominciato ad avanzare. «I russi parlano, parlano, dovevano finire la guerra in un mese ed è passato un anno…sempre così, sono testardi. Adesso hanno detto che devono conquistare Bakhmut e anche se ci volessero 10 anni non cambierebbe nulla».

«POTRESTE vincere voi». «Sì, ma poi loro tornerebbero, tu non li conosci; non accettano la sconfitta». E allora la guerra? Anche quella durerà per sempre? «Questo non lo so, dipende da troppe cose».

Roman è un militare sui generis, più disilluso che patriottico, le sue risposte a metà tra il sarcasmo e il disinteresse. «È vero che in questi giorni state tentando di avanzare?», chiedo alla fine. Ride: «Sono stato ferito ai polmoni, mica alla testa, non sono ancora diventato scemo! Se succede qualcosa lo saprai dai giornali. O magari lo vedi tu stesso, se rientri».

A fine giornata notizie di Bakhmut non ne sono arrivate, l’accesso alla città era chiuso, ufficialmente per impegni dell’ufficio che rilascia gli accrediti. Non si è potuto neanche constatare direttamente se l’eventuale operazione sia stata un successo o se si sia svolta davvero.

AL MOMENTO le posizioni degli schieramenti sembrano invariate. L’addetta dell’amministrazione di Kramatorsk ha avvertito che da oggi si potrà rientrare a Bakhmut e quindi gli ucraini resistono ancora.

Sembra che per l’esercito russo un altro obiettivo propagandistico, ovvero la conquista della città entro il primo anniversario dall’invasione, stia sfumando. Poi, forse, Bakhmut potrà anche cadere, l’importante è che non diventi un trofeo.