Nessuna sorpresa alla Camera: il dl Ucraina passa senza sforzo e così, da qui alla fine dell’anno, per inviare armi il governo non avrà più necessità di passare per il parlamento. Attenzione però ai numeri, perché la larghissima maggioranza a sostegno del provvedimento (tutti tranne Movimento Cinque Stelle e Verdi-Sinistra) arriva appena a 215 voti favorevoli, con i contrari che si sono fermati a 46.

Sessantasei i deputati assenti perché in missione (quindi della minoranza): l’esito scontato della votazione di certo ha contribuito alla non entusiasmante partecipazione al dibattito e alla votazione, ma le perplessità mostrate in passato soprattutto da Lega e Forza Italia restano sul tappeto, se non a turbare, quantomeno a segnalare che il fronte governativo non era poi così entusiasta di queste «disposizioni urgenti». Un atteggiamento di perplessità sul continuo invio di armi, esplicitato in più occasioni dai leader Salvini e Berlusconi, che va avanti ormai da diversi mesi, pur senza mai arrivare a una vera e propria rottura.

Crepe si intravedono anche nel Pd, con la componente di Articolo 1 che si è spaccata: Arturo Scotto e Nico Stumpo, pur presenti in aula, hanno deciso di non votare, mentre Roberto Speranza, Maria Cecilia Guerra e Federico Fornaro si sono espressi in maniera favorevole. L’unico no in casa dem è stato quello di Paolo Ciani, già esponente di primissimo piano della Comunità di Sant’Egidio ed espressione di Demos.

Elly Schlein, dopo le tante interviste in cui ha affermato che «la pace in Ucraina non si fa con le armi», ha votato sì insieme al resto del gruppo.

Bocciate, per il resto, le due mozioni di M5s e Avs che puntavano a rendere preventive le comunicazioni del governo alle Camere a ogni invio di armi. «La nostra proposta era pura democrazia parlamentare, ma l’hanno bocciata», ha commentato Nicola Fratoianni. La Camera ha respinto anche l’ordine del giorno che chiedeva al governo di impegnarsi perché la vendita delle armi passasse solo attraverso le autorità, escludendo gli intermediari. «Da mesi l’Interpol denuncia che una parte importante delle forniture militari sta finendo sul mercato nero – ha detto ancora il segretario di Sinistra Italiana -, il governo ha detto che già lo facciamo con gli alleati e quindi ha dato parere contrario. Una follia, perché se ti impegni a fare quello allora il parere deve essere positivo».

Di «assurda escalation militare» ha invece parlato in aula il pentastellato Marco Pellegrini. «La strategia occidentale si è focalizzata sull’invio costante di armi – ha aggiunto -, così facendo ci stiamo avvicinando al rischio che si arrivi all’utilizzo di armi nucleari». La maggioranza – o almeno i deputati presenti in aula – ha fatto quadrato intorno al decreto e ha tirato dritto forte di numeri largamente rassicuranti.

Intanto è in via di definizione il sesto pacchetto di aiuti militari che l’Italia invierà a Kiev. La lista, come al solito, è secretata, ma il ministro della Difesa Guido Crosetto ha anticipato in un’intervista al Corriere della Sera che verranno inviati i moderni missili Samp-T e i più antiquati Aspide «per abbattere i missili della Russia e i droni forniti dall’Iran», in aggiunta a una serie di altre azioni «alle quali lavoriamo riservatamente». La premier Giorgia Meloni, del resto, non ha mai mancato di sottolineare come il sostegno italiano all’Ucraina sia pressoché totale e che l’invio di armi è necessario per la difesa del paese dall’invasione russa.