Il Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc) torna a smorzare l’allarme sul rischio di contagio da Covid dalla Cina. «Poiché il livello di immunità nella popolazione europea è superiore – scrivono gli esperti dell’agenzia – e dato che nell’Ue la sostituzione delle varianti attualmente circolanti in Cina con altre sottovarianti del ceppo Omicron è già avvenuta, si prevede che un aumento dei casi positivi in Cina non avrà un impatto sulla situazione epidemiologica dell’Unione Europea». L’agenzia con sede a Stoccolma, che pochi giorni fa ha definito «ingiustificate» le misure prese alla frontiera dall’Italia e da altri Paesi, non cambia dunque opinione.

GLI ESPERTI EUROPEI sanno che le dichiarazioni rassicuranti del governo cinese vanno prese con le pinze. Dopo il picco di casi raggiunto il 2 dicembre – scrivono – l’incidenza in Cina è calata «probabilmente anche per il minor numero di test». E aggiungono: «Mancano ancora dati affidabili sui casi di Covid-19, sui ricoveri, sui decessi e sulla disponibilità e sull’occupazione delle terapie intensive». La situazione inoltre è destinata anche a peggiorare data «la bassa immunità di popolazione e il rilassamento delle misure di contenimento».

TUTTAVIA, l’ottimismo dell’Ecdc deriva da altri fattori. Cioè dall’esame delle quasi 600 sequenze virali depositate dai ricercatori cinesi nelle banche dati internazionali nel mese di dicembre, un dato meno controllabile da parte di Pechino. «Nessuna nuova variante è stata identificata. Le varianti circolanti in Cina sono quelle che già circolano nell’Ue e dunque non sono problematiche per la risposta immunitaria dei cittadini europei». Sarebbe dunque sbagliato raffigurare l’Europa come un territorio vergine da proteggere da un nemico esterno. Il virus circola ampiamente anche da noi, anche se l’immunità diffusa ne alleggerisce l’impatto clinico. Nell’ultima settimana in Europa sono stati registrati oltre mezzo milione di nuovi casi «ufficiali» ed è dunque probabile che i nuovi contagi siano alcuni milioni. Il rischio di sviluppo di nuove varianti non è affatto trascurabile, ma non è limitato alla Cina.

Eppure, la sindrome cinese si allarga alla Germania, dove il partito di sinistra Linke chiede «test molecolari e sequenziamento obbligatori all’arrivo in Germania» per voce della responsabile sanità Kathrin Vogler. D’accordo il Presidente dell’Associazione Federale dei medici di salute pubblica Johannes Niessen che ha chiesto di adottare le stesse misure italiane. «Quando si verifica un’impennata dei casi, come oggi in Cina, ci si aspetta che il virus muti», ha detto Niessen. Per ora il governo tedesco non ha cambiato le sue regole ma potrebbe farlo se ci fosse una decisione europea. Nell’attesa, la questione rischia di trasformarsi in una crisi diplomatica serissima.

PECHINO ieri ha definito «inaccettabili» le decisioni dei governi europei che hanno imposto i test agli aeroporti. Secondo il portavoce del ministro degli esteri cinese Mao Ning, «la Cina potrebbe adottare contromisure in base al principio di reciprocità». Non si scompone il ministro degli esteri italiano Antonio Tajani che parla di decisioni «normalissime»: «Non è nulla di offensivo, non si conculca la libertà di una persona», dice. L’anomalia rimane: la quarantena con tampone all’uscita è prevista solo per i viaggiatori cinesi.

L’UE FINORA non ha una linea comune. La riunione dell’unità di crisi a Bruxelles è prevista per oggi. Ieri la commissaria alla salute Stella Kyriakides ha teso la mano a Pechino. Secondo una nota, Kyriakides «ha contattato la controparte cinese per offrire solidarietà e supporto, mettendo a disposizione sia le competenze nel campo della salute pubblica che la donazione di vaccini adattati alle varianti». I vaccini più utilizzati in Cina, prodotti dalle aziende Sinopharm e Sinovac con la tecnologia del virus inattivato, si sono rivelati meno efficaci dei vaccini a mRna usati in Occidente. Tuttavia, non è vero che le campagne vaccinali di Pechino siano state inutili. Secondo la Collaborazione Cochrane, una rete di ricercatori indipendenti che raccoglie e analizza l’affidabilità delle ricerche, l’efficacia del vaccino Sinopharm è pari al 78% con «elevata credibilità». Il dato è inferiore al 90% dei vaccini a mRna, ma superiore a quello di altri vaccini impiegati in Europa e Usa, come quelli AstraZeneca o Johnson&Johnson. Su quella del vaccino Sinovac, stimata al 70%, le evidenze scientifiche sono di «bassa credibilità». Più che la minore efficacia dei vaccini, conta la scarsa immunità della popolazione cinese. Nel Paese il virus non è stato lasciato circolare per quasi tre anni con le politiche «Zero Covid» e la copertura vaccinale nella popolazione anziana è inferiore a quella di molti Paesi dell’Europa occidentale.