LESBO. «Sappiamo di essere dalla parte giusta e oggi è il momento in cui anche sul piano giudiziario verrà confermato. Qualunque sarà l’esito non sarà un esito felice, perché semplicemente evidenzierà ancora una volta il livello di repressione e criminalizzazione del soccorso messe in atto dalle istituzioni greche».
Sono nette le parole di Sean Binder, uno dei 24 attivisti che per la loro partecipazione alle operazioni di ricerca e soccorso dell’organizzazione Emergency Response Center International tra il 2016 e il 2018 sono a processo con le accuse di spionaggio, falsificazione, uso illegale di frequenze radio.
Tra di essi c’è anche Sarah Mardini, la cui storia è divenuta famosa grazie alla sua autobiografia “The Butterfly” e al film “Le nuotatrici” di Sally El Hosaini disponibile su Netflix. Le sorelle siriane Yusra e Sarah Mardini, fuggite nel 2015 con la guerra alle porte di Damasco, sono riuscite a salvare la vita ad altre 16 persone gettandosi coraggiosamente dal gommone che imbarcava acqua su cui si trovavano e nuotando, sospingendolo fino a Lesbo. Le due sorelle, dopo aver affrontato i rischi che le frontiere e le politiche della fortezza Europa sottopone a chi scappa, sono arrivate in Germania. Il film si conclude, come nella realtà, con Yusra che partecipa alle Olimpiadi di Rio 2016 e Sarah che decide di tornare a Lesbo.

Nel 2018, Sarah Mardini e Sean Binder vengono arrestati e rimangono oltre tre mesi in custodia cautelare.
Dopo quattro anni di vuoto, il 10 gennaio riparte il processo, che viene subito rimandato di 72 ore. Sarah, che quei 106 lunghi giorni li aveva spesi in un carcere di massima sicurezza, non può parteciparvi a causa di un divieto d’ingresso in Grecia.

Venerdì 13 gennaio 2023 all’interno dell’aula gremita della Corte d’appello di Mitilene c’è un’aria rilassata e tranquilla. Forse perché il pubblico internazionale presente nemmeno contempla un risultato negativo del processo, definito una “farsa” da Amnesty international e Human rights watch, che infatti non arriva:
per tutti gli imputati, tranne che per due attivisti greci che saranno rinviati a un tribunale di grado inferiore, le accuse di reato sono annullate.

Sono stati considerati innocenti sull’uso illegale di frequenze radio perché questo non costituisce più reato nel codice penale greco. L’accusa di spionaggio è stata definita dai tre giudici “troppo vaga” - nel merito, secondo gli attivisti la loro presunzione di innocenza è stata violata perché si basa sul presupposto di partecipazione a un’organizzazione criminale, che riguarda un’altra indagine.
Infatti, si è concluso oggi il processo per i reati minori ma resta l’indagine su alcuni crimini più gravi, come il traffico di persone, il riciclaggio di denaro e appunto l’appartenenza a un’organizzazione criminale.
L’accusa ha volutamente separato questi capi di imputazione perché sono soggetti a un periodo diverso di prescrizione, per i primi è di cinque anni con una pena fino a otto, mentre per quest’ultimi è di venti, con una pena massima di venticinque.

Nello stesso giorno in cui a Palermo riparte il processo all’ex Ministro dell’Interno e leader della Lega, accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio, casualmente si chiude a Mitilene quello che secondo un report commissionato dal Parlamento Europeo nel giugno 2021 è “il più grande caso di criminalizzazione della solidarietà in Europa”.
È però una vittoria amara, sia perché la decisione della corte è stata presa a seguito di alcuni vizi procedurali evidenziati dalla difesa degli attivisti, come la mancata traduzione dell'atto d'accusa per gli imputati stranieri, sia perché gli altri nodi potrebbero non sciogliersi per altri quindici anni.

«Io avrei voluto un processo ben fatto», ha detto Sean Binder fuori dal tribunale. «Non avrei voluto venirne fuori perché l’accusa è stata così stupida da non far tradurre in tempo dei documenti. Significa che il processo non continuerà e che non verremo mai considerati del tutto innocenti. Vorrei che essa, con i suoi migliori argomenti contro i nostri, si dimostri inconsistente anche sul piano dei contenuti, mentre ora non dovrà mostrare proprio niente». Lunedì la stessa corte ha deciso di scarcerare Hanad Mohammed, un cittadino etiope che era stato condannato a 146 anni di prigione per il solo fatto di essersi trovato nel posto più a poppa nell’imbarcazione e aver tenuto la barra del timone fino all’arrivo.

Binder si aspetta un «processo più serio, con le accuse più gravi, duri così tanto, anche perché l’unico motivo per cui questo si è svolto ora deriva dal fatto che a marzo 2023 sarebbe stato prescritto». L’irlandese ha continuato: «Sembra una strategia per rimandare il più a lungo possibile, il che ci dice due cose: che non sono convinti che siamo colpevoli - se fossimo le menti criminali che dicono saremmo rimasti in prigione e forse almeno questo è rassicurante perché sembra che non ci torneremo. La seconda cosa che tutto ciò ci mostra è che si può essere accusati, imprigionati e processati senza di aver fatto niente di male, che ancora più spaventoso. Se io posso essere colpevole per aver dato dell’acqua a una persona in difficoltà, allora potresti essere tu il colpevole la prossima volta».

Amnesty International considera questi lunghi procedimenti legali nei confronti di 180 difensori dei diritti umani in 14 Paesi, tra cui l’Italia, come uno dei tentativi da parte delle autorità dei paesi europei per dissuadere i volontari dall’aiutare i richiedenti asilo alle frontiere terrestri e marittime da cui, sempre più spesso, essi vengono violentemente respinti.

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