Un fiume umano da piazza Habima ha inondato ieri la lunga e ampia via Kaplan fino a HaShalom. Oltre centomila israeliani, secondo le stime della polizia, forse 130mila, hanno affollato il centro di Tel Aviv rafforzando oltre ogni previsione la protesta contro le minacce del governo di estrema destra religiosa guidato da Benyamin Netanyahu all’indipendenza del sistema giudiziario e, in particolare, ai poteri della Corte suprema. «Vergogna, vergogna. Democrazia, democrazia» ha riecheggiato tutta la sera.

Altre migliaia di manifestanti si sono riuniti ad Haifa, Gerusalemme e per la prima volta Beersheva, a ridosso del Neghev che pure è una delle roccaforti elettorali della destra. In piazza Habima e a via Kaplan hanno parlato alla folla esponenti politici come l’ex premier Yair Lapid e l’ex ministro della difesa Moshe Yaalon e personaggi del mondo della cultura come lo scrittore David Grossman.

AD ACCRESCERE la partecipazione rispetto agli 80mila di una settimana fa, è stato il caso di Aryeh Deri, il ministro dell’interno e della sanità di cui la Corte suprema ha chiesto l’allontanamento immediato dal governo perché condannato in passato per gravi reati fiscali.

Sulle dimissioni di Deri insistono i partiti di opposizione e il Movimento per un governo di qualità (Mgq), divenuto il principale organizzatore delle manifestazioni a Tel Aviv a scapito del gruppo ebraico-arabo Standing Together che due settimane fa aveva portato in strada 15mila persone.

Ieri circa 200 israeliani, per lo più giovani, hanno scandito slogan in Via Kaplan e in via Leonardo da Vinci a sostegno dei diritti dei palestinesi in Israele e nei Territori occupati.

Ma lo spostamento in una posizione di secondo piano di Standing Together ha contribuito a tenere gli arabo israeliani (palestinesi con cittadinanza israeliana) lontano dalle manifestazioni contro lo scivolamento verso l’autoritarismo.

Pochi nelle ultime due settimane si sono posti domande sull’assenza da piazza Habima del segmento della società israeliana (21% della popolazione) che con ogni probabilità sarà tra i primi a finire sotto tiro dell’estrema destra al governo.

I PALESTINESI d’Israele spiegano che l’agenda della protesta non affronta i problemi più ampi del sistema. Difendere la democrazia, aggiungono, deve significare anche la fine della discriminazione aperta o strisciante contro i cittadini arabi e dell’occupazione di Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est.

«Gli israeliani ebrei, o la maggior parte di essi, vivono in una bolla. Persino molti di quelli che si considerano progressisti non sembrano porsi il problema centrale dei diritti della minoranza araba», ci dice Rana Bishara, un’artista nota nella sua comunità.

Un sondaggio pubblicato questa settimana dall’Israel Democracy Institute rivela che circa la metà degli ebrei in Israele pensa di dover avere più diritti rispetto ai cittadini arabi. «Gli ebrei – aggiunge Bishara – si stanno rendendo conto della deriva estremista che domina la politica in questo paese, noi lo denunciano da sempre».

Anche la Corte suprema, che la folla di piazza Habima difende dalla riforma della giustizia del ministro Yariv Levin, è vista in modo diverso da ebrei e arabi in Israele.

«NON NE SOTTOVALUTO l’importanza – spiega Bishara – ma questi giudici sono gli stessi che hanno sentenziato la legalità della legge fondamentale che (nel 2018) ha proclamato Israele come Stato degli ebrei e non anche dei suoi cittadini arabi, in cui la priorità è data allo sviluppo dell’insediamento ebraico».

Che le questioni dei diritti della minoranza araba e dell’occupazione dei Territori non siano parte dell’agenda delle proteste anti-Netanyahu lo ha confermato in interviste date a media locali il portavoce del Mgq, Nadav Lazare: «Ci occupiamo della natura del governo in Israele. Siamo un movimento centrista. L’occupazione non è l’oggetto delle manifestazioni».

Di fronte a ciò l’ex ministro arabo Issawi Frej, del partito sionista di sinistra Meretz, pur prendendo parte ai raduni a Tel Aviv, dice di capire i cittadini arabi: «Quando non parli di uguaglianza non aspettarti che venga il pubblico arabo. La democrazia non è solo rafforzare la Corte suprema».

Si lamenta Sally Abed di Standing Together. «Da una settimana all’altra è cambiato tutto – racconta – La prima volta c’erano quattro palestinesi (cittadini di Israele) su nove oratori, un religioso ortodosso e una donna transessuale. Ora è molto diverso».