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  • Mercoledì 8 febbraio 2023

Gli aiuti internazionali per il terremoto faticheranno ad arrivare in Siria

Soprattutto a causa della guerra civile che va avanti da 12 anni e delle sanzioni internazionali contro il regime di Assad

Bambini impegnati a rimuovere le macerie a Jinderis, nella provincia di Aleppo, in Siria (AP Photo/Ghaith Alsayed)
Bambini impegnati a rimuovere le macerie a Jinderis, nella provincia di Aleppo, in Siria (AP Photo/Ghaith Alsayed)
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Il terremoto avvenuto nella notte tra domenica e lunedì nel sud della Turchia e nel nord della Siria ha causato migliaia di morti e distrutto migliaia di edifici in decine di città di entrambi i paesi: ma se la Turchia ha cominciato a ricevere aiuti internazionali quasi immediatamente (l’agenzia nazionale per le emergenze ha parlato di aiuti da 65 paesi), in Siria finora ne sono arrivati pochissimi, ed è molto probabile che faticheranno ad arrivarne anche nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.

Il terremoto ha aggravato la situazione in una zona del paese già ampiamente devastata dalla guerra civile che va avanti da più di 12 anni, e che non si è fermata nemmeno in questi giorni. Il nord-ovest della Siria è controllato dai ribelli che si oppongono al regime del presidente Bashar al Assad, e almeno fino al terremoto ci vivevano in condizioni già molto precarie alcuni milioni di persone sfollate da altre parti del paese dopo essere sfuggite al regime. Tra le zone colpite dal terremoto ci sono sia quelle controllate dai ribelli, sia altre ancora sotto il controllo del governo di Assad.

Le ragioni per cui in Siria stanno arrivando pochissimi aiuti sono legate proprio alla guerra civile: da una parte il governo di Assad è da anni sotto sanzioni da parte dei paesi occidentali, che in questo modo intendono mettergli pressione affinché si arrivi a una risoluzione del conflitto; dall’altra il nord-ovest della Siria controllato dai ribelli è diventato difficilmente raggiungibile attraverso i canali usati negli ultimi anni per aggirare il governo centrale, cioè passando dal sud della Turchia, che in questo momento è devastato dal terremoto.

I principali aeroporti turchi vicini al nord-ovest della Siria sono stati chiusi perché inagibili, in particolare quello di Hatay, tra le città turche di Antiochia e Alessandretta. Passare da quell’aeroporto è indispensabile, visto che gli accordi presi dalle Nazioni Unite con la Siria per mandare aiuti nel nord-ovest impongono di passare dal valico di frontiera di Bab al Hawa, sulla strada che collega Alessandretta a Idlib, la principale città siriana controllata dai ribelli. Le strade stesse della zona sono state molto danneggiate dal terremoto e sono in parte inagibili anche a causa delle nevicate degli ultimi giorni.

In generale c’è una certa riluttanza da parte delle squadre di ricerca e soccorso internazionali a entrare nel nord-ovest della Siria, dove è attivo il gruppo jihadista Hayat Tahrir al Sham (HTS), ritenuto un gruppo terroristico dalle Nazioni Unite: normalmente la Turchia si occuperebbe di garantire la sicurezza degli ingressi nella zona, ma in questi giorni le sue autorità sono impegnate nella gestione delle conseguenze del terremoto.

Nel frattempo il governo siriano ha ricevuto aiuti internazionali soprattutto dalla Russia, che dal 2015 è diventata alleata di Assad intervenendo nella guerra civile, e da altri paesi come Emirati Arabi Uniti, Iraq, Iran e Algeria; Unione Europea, Regno Unito e Stati Uniti invece hanno detto di non avere intenzione di allentare le sanzioni e di cooperare con Assad, nonostante il momento particolarmente complicato, perché temono l’uso distorto che il suo governo potrebbe fare di eventuali aiuti, già avvenuto in passato.

Il governo siriano si è molto lamentato dell’indisponibilità dei paesi occidentali ad allentare le sanzioni. L’ambasciatore siriano alle Nazioni Unite, Bassam Sabbagh, ha fatto pressioni per ricevere aiuti proponendo il governo centrale come mediatore anche per gli aiuti ai territori controllati dai ribelli. La sua posizione è considerata inaffidabile, anche perché in questi giorni il governo siriano non ha interrotto i bombardamenti proprio contro i ribelli di cui vorrebbe farsi garante: la città di Marea per esempio, che si trova 35 chilometri a nord di Aleppo, ha subìto grossi attacchi poche ore dopo il terremoto.

Inoltre è già successo che il governo siriano usasse aiuti umanitari per ricattare le popolazioni che abitano nelle città controllate dai ribelli, dove vivono circa 4 milioni di persone in grave difficoltà, per spingerle ad arrendersi o a fare concessioni nella guerra. In sostanza il governo siriano sembra avere interesse a mantenere accessibile il nord-ovest del paese solo attraverso il valico di Bab al Hawa, al momento impraticabile: in questo modo può continuare a fare pressioni per ricevere aiuti internazionali nonostante le sanzioni.

Gli Stati Uniti hanno ribadito che forniranno aiuti solo attraverso associazioni internazionali presenti sul territorio slegate dal governo, come i Caschi bianchi, un’organizzazione di volontari di difesa civile che opera nelle parti della Siria sotto il controllo dei ribelli a scopi umanitari.

In questo momento i Caschi bianchi sono praticamente l’unica organizzazione attiva nei soccorsi nel nord-ovest della Siria, ma hanno pochi macchinari adatti a effettuare ricerche tra le macerie, come gli escavatori, e sono pochissimi se confrontati alle necessità delle città distrutte dal terremoto. In questa zona c’era già una grossa emergenza umanitaria e i rifugiati vivevano in case fatiscenti che il terremoto ha fatto crollare: tuttora è difficile avere informazioni ufficiali, l’assistenza sanitaria è molto carente e molti credono che il bilancio dei morti sia fortemente sottostimato, dal momento che in moltissimi edifici crollati non sono nemmeno iniziate le ricerche.