Aggiornamento lunedì 27 febbraio, ore 9.30

Il bilancio dei morti è salito a 62. I dispersi sarebbero ancora 30-40


Un «carico residuale» giace in fondo al mar Jonio e non sarà mai più recuperato. Un tappeto di teli bianchi plastificati copre decine di cadaveri. Giacciono adagiati davanti una serie di villette bianche a schiera vista mare. Le canne di bambù nascondono dalla statale Jonica la visuale dell’ennesima tragedia dell’umanità migrante. Le margherite fiorite sul prato prospiciente l’arenile incorniciano i corpi recuperati ma vivi. Il bilancio del naufragio del barcone colmo di migranti  sulla spiaggia di Steccato di Cutro, venti chilometri a sud di Crotone, fa impressione. Sono rimasti solo i brandelli dell’imbarcazione probabilmente partita da Izimir e affondata tra i flutti del mare di Calabria. Una ecatombe nel silenzio delle spiaggia d’inverno. Mentre scriviamo le vittime accertate sono 43, i migranti salvati una ottantina. Ma il motopeschereccio partito dalla Turchia conteneva forse 200 persone.

Il comitato di soccorso straordinario riunitosi in Prefettura ha comunicato che dagli elicotteri sono visibili circa trenta corpi non ancora recuperati a causa delle condizioni meteo. Per cui si teme un centinaio di vittime. È una strage purtroppo attesa. Da quando la rotta levantina con destinazione lo Jonio calabrese è diventata una direttrice molto battuta dalle «navi della speranza» era chiaro che prima o poi una siffatta tragedia si sarebbe verificata. Da inizio anno sono un centinaio gli sbarchi e migliaia i migranti approdati nel tratto di costa tra Crotone e Roccella Jonica. Nel disinteresse generale della politica locale e nazionale che oggi versa urticanti lacrime di coccodrillo.

In attesa di essere portati al Cara di Isola di Capo Rizzuto gli scampati alla tragedia sono accovacciati tra le dune basse di sabbia e la vegetazione mediterranea, avvolti nelle coperte termiche fornite dai soccorritori. I volti terrei scrutano a pochi metri di distanza la battigia e il mare dove galleggiano i pezzi di legno che rimangono della vecchia imbarcazione andata in frantumi. Tra i superstiti tanti ragazzi, minorenni, ma non bambini. I più piccoli sono infatti morti annegati quando il barcone si è spezzato in due dopo essersi incagliato nelle secche di un mare in burrasca. Il grecale forza 8 fa da contorno alla tragedia. Il cielo plumbeo sovrasta le onde alte 2 metri. Un bambino di 7 anni e un infante di pochi mesi finora risultano nell’elenco delle vittime travolte dalla forza delle acque. Ma la conta dei cadaveri è destinata ad allungarsi.

Soccorritori in azione

Al momento la macchina dei soccorsi, carabinieri, polizia di stato, prociv, vigili del fuoco, personale del 118, è impegnata a recuperare altri cadaveri dalle acque vicino alla riva. I pickup della Guardia costiera si riempiono di corpi. Non sono nuovi, agli sbarchi, gli uomini e le donne delle forze dell’ordine, nè i volontari della Croce Rossa. Ma sono abituati ad abbracciare, ad accogliere. Ora invece i loro sguardi sono di terrore. Richiamano l’attenzione l’uno dell’altro, in silenzio per rispetto. Le vittime sono state trasportate al Palamilone del capoluogo. Mentre proseguono incessantemente le ricerche dei dispersi. Due corpi sono stati ritrovati a Botricello, dieci km a sud di Steccato. Un altro a Le Castella.

Intanto si succede il florilegio di reazioni della politica locale. È imbarazzante. Il sindaco di Crotone Vincenzo Voce dice di provare «dolore per il naufragio». È lo stesso personaggio che, dopo aver imbarcato nelle sue liste vecchi arnesi del neofascismo crotonese, lascia marcire al freddo sotto il cavalcavia della statale jonica centinaia di migranti nella favela nei pressi della stazione ferroviaria pitagorica. C’è poi il presidente di regione Roberto Occhiuto (Fi) che chiede «aiuto all’Europa che non può far finta di niente» tacendo sulle nefaste politiche xenofobe del governo Meloni.

In mezzo a tante parole vuote e ipocrite spiccano le riflessioni di Mimmo Lucano. L’ex primo cittadino di Riace è nel suo borgo dove proprio oggi si sono dati appuntamento centinaia di militanti in sua solidarietà alla vigilia della sentenza d’appello del processo Xenia: «Una tragedia immane che mi riempie di tristezza. E non bisogna definirli clandestini che è un termine discriminatorio. Si tratta piuttosto di gente in fuga dai loro paesi in cerca di un futuro migliore. E per Riace, diventato paese simbolo conosciuto in tutto il mondo, sono stati preziosi cittadini». E c’è infine il saggio monito dell’Anpi Calabria. «Rifletta la politica, lo faccia il governo con le sue direttive disumane sui soccorsi, sulle Ong, sull’accoglienza diventata un miraggio per tantissimi migranti», ha affermato il coordinatore Mario Vallone.