Vladimir Putin ha ribadito ieri al telefono con il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, le sue condizioni per aprire un negoziato. Pretende che la comunità internazionale riconosca come russe le quattro province ucraine di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzha e Kherson, che lui stesso ha integrato con una cerimonia al Cremlino alla fine di settembre, ma che il suo esercito non è ancora riuscito a conquistare. Putin ha chiesto, poi, di interrompere la fornitura di armi destinata a Kiev. Altrimenti, ha minacciato, “i nostri attacchi saranno inevitabili”.

TERMINA COSÌ, almeno pubblicamente, l’iniziativa diplomatica che il presidente francese, Emmanuel Macron, aveva lanciato soltanto ventiquattro ore prima a Washington, durante l’incontro con il capo della Casa Bianca, Biden. Proprio Biden ha fatto sapere in serata attraverso il portavoce del Consiglio per la Sicurezza nazionale, John Kirby, che non ha alcuna intenzione di discutere con Putin. Kirby ha fatto anche riferimento al tetto sul prezzo di petrolio, sessanta dollari a barile, che l’Unione europea dovrebbe imporre al greggio in arrivo dalla Russia: “Aiuterà a limitare le capacità della macchina da guerra di Putin”.

Se le parole non bastassero, ci sono gli investimenti che Russia e Stati uniti hanno programmato nel comparto militare. A Mosca nel 2023 alzeranno del 50 per cento il budget dell’esercito, ora attorno agli ottanta miliardi di dollari, e di una volta e mezzo gli investimenti nella produzione bellica. Per il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, è necessario puntare sul settore missilistico e sulle infrastrutture delle forze nucleari. Gli Stati uniti hanno dato il via libera pochi giorni fa a una commessa da un miliardo e duecento milioni di dollari per fornire all’Ucraina sei sistemi antimissile di nuova generazione che la multinazionale americana Raytheon consegnerà nei prossimi mesi. Nel frattempo, avrebbero chiesto a diversi paesi del Golfo di inviare aiuti a Kiev.

INSOMMA, Putin e Biden sembrano avere sfruttato un momento di possibile apertura per marcare ancora una volta la distanza che separa le rispettive posizioni. La Russia esige che l’Ucraina sia divisa almeno in due parti. Una, nel sudest, sotto il suo controllo. L’altra, al confine con l’Europa, demilitarizzata. Gli Stati uniti proseguiranno il sostegno a Kiev “sinché sarà necessario”, e quindi sino a quando l’integrità territoriale del paese non sarà ristabilita. Lo stato delle cose è molto simile a quello che si era verificato un anno fa, alla vigilia dell’invasione. Allora i diplomatici russi avevano avanzato una serie di proposte sulla sicurezza in Europa che comprendevano la chiusura delle basi Nato nell’area del Mar Nero. Nessuno accettò di discuterle. Di lì a poco Putin e Shoigu avrebbero spinto l’esercito oltre il confine con l’Ucraina.

CHE COSA RESTA oggi dell’iniziativa di Macron? Già all’inizio di novembre, dopo un colloquio telefonico con il collega ucraino, Volodymyr Zelensky, il presidente francese aveva parlato del progetto di una conferenza, il 13 dicembre, con tutti i paesi decisi a sostenere il governo di Kiev dal punto di vista economico. I rigori dell’inverno rendono un intervento umanitario sempre più urgente: secondo Zelensky il prezzo della ricostruzione ha già superato il trilione di dollari.

È POSSIBILE che Macron abbia discusso la questione con Biden nel corso della visita a Washington, A questo punto, però, pare difficile che la conferenza dei donatori possa diventare una conferenza di pace. Sul punto Biden era stato esplicito già giovedì. “Sono pronto a discutere con Putin, a patto, però, che Putin abbia interesse a chiudere la guerra”, aveva detto al fianco di Macron: “Il problema è che Putin non ha mai mostrato quell’interesse. Se mai dovesse farlo, sarei felice di sedere al tavolo con i nostri amici francesi e con la Nato per ascoltare che cosa vuole e che cosa ha in mente. Gli Stati Uniti continueranno a sostenere con forza il popolo ucraino nella lotta contro l’aggressione russa”.