Ucraina: se il vento cambia a Kherson

Putin pare avere perso la guerra che ha lanciato contro l’Ucraina lo scorso 24 febbraio. L’abbandono di Kherson, la città che doveva essere russa «per sempre», da parte delle truppe di Mosca è ancora poco definito, potrebbe portare a uno stallo militare. Ma, se si concretizzerà fino in fondo, sarà un punto fermo che certifica il sostanziale fallimento dell’invasione. Nell’ottica militare, l’armata del Cremlino è ora in trincea: non ha le forze e l’autorità morale per piegare la resistenza ucraina — sostiene gran parte degli esperti. Anche dal punto di vista politico e diplomatico, la strategia di Putin, ammesso che ne avesse una, è collassata ora che anche l’amico Xi Jinping gli ha intimato di non trastullarsi con le minacce nucleari.

Sta probabilmente arrivando il momento di spingere perché Mosca prenda atto di essere in un vicolo senza uscita e tratti l’uscita dal Paese che ha invaso. Non è affatto detto che Putin sia disposto a compiere un passo che avvicinerebbe la sua fine politica. Anzi. E ogni eventuale iniziativa diplomatica, ogni discussione su un percorso futuro di trattative devono essere condotte innanzitutto con la leadership di Kiev e devono evitare di offrire alla Russia i tempi e i modi per ricostituire un esercito oggi in crisi. Dall’altra parte, però, l’esistenza di uno sconfitto non significa che ci sia o ci siano vincitori.

Vincitori forse potranno anche esserci ma, appunto, dipenderà da come sarà il mondo dopo la guerra e da come l’Ucraina e le democrazie che l’hanno sostenuta gestiranno la ricostruzione materiale e politica.

Kherson, conquistata dai russi lo scorso marzo, era il risultato militare maggiore di tutta la sventurata invasione. Averla persa, per il Cremlino significa avere sacrificato la vita di migliaia di ucraini e di russi, avere distrutto quello che hanno distrutto senza nemmeno potere mostrare un risultato. I referendum con i quali Putin ha cercato di «annettere» parti del Paese che ha aggredito giacciono oggi come una insignificante messa in scena. Non è solo il valore simbolico, a contare: la città è anche una chiave centrale nel controllo del Sud-Est dell’Ucraina e delle vie di comunicazione con la Crimea. Non solo la reputazione internazionale della Russia è ai minimi ma Kherson dice che il vento della guerra è cambiato. Non siamo alla fine del conflitto ma a un punto di svolta sì.

In questa situazione, con una posizione di vantaggio conquistata, Volodymyr Zelensky e il governo di Kiev sono nella condizione di affrontare da una posizione di forza un’eventuale discussione con il Cremlino riguardo al futuro. A loro probabilmente non basta: l’obiettivo è respingere l’invasore dalle aree ucraine che ha occupato. E impostare le basi per la ricostruzione del Paese massacrato. In più, c’è la questione dell’individuazione dei criminali di guerra russi da giudicare a livello internazionale. Problemi complicatissimi che non sono risolvibili in poco tempo. Uno spiraglio per la diplomazia e, soprattutto, per la pressione politica su Mosca si sta però aprendo. Da condurre continuando a mandare a Kiev le armi che chiede ed evitando di dare l’impressione che la coalizione che sostiene l’Ucraina abbia obiettivi diversi da quelli del governo di Zelensky.

Sappiamo che il nuovo Congresso americano sosterrà Kiev come ha fatto finora. Sappiamo che i Paesi europei non cedono nella compattezza al fianco dell’Ucraina. Sappiamo anche che i russi e gli americani in qualche modo si parlano e che nei colloqui è chiaro che la posizione di Mosca è insostenibile. E sappiamo che quella che fino a febbraio era «un’amicizia sena limiti» tra Putin e Xi Jinping mostra oggi limiti evidenti. In questo quadro, è pensabile che Washington chiarisca al Cremlino che, appunto, il vento è cambiato e che è arrivato il momento per mettere fine alla «operazione speciale»? Che Joe Biden e qualche leader europeo facciano capire al segretario generale appena rieletto dei comunisti cinesi che il sodalizio con Mosca gli fa male e una sua pressione sul capo del Cremlino gli porterebbe solo benefici?

A un certo punto, la politica e la dura diplomazia entreranno in campo. Questo è il piccolo spiraglio che l’avanzata ucraina nel Sud-Est del Paese ha aperto. Tutto molto difficile. Le ipotesi da mettere su un tavolo — al momento non certo negoziale ma di confronto tra Putin e Zelensky, questi appoggiato dalle democrazie — sono tutte da individuare. Ed è non facile aspettarsi che il capo del Cremlino si adatti a un’umiliazione che ormai è nelle cose: al momento, anzi, cercherà di trascinare le operazioni nell’inverno, sperando in un miracolo ortodosso. Ciò nonostante, a Kherson la resistenza ha materializzato una realtà militare nuova che dà indicazioni alla politica e alla diplomazia.

10 novembre 2022, 22:00 - modifica il 11 novembre 2022 | 08:10

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