Benyamin Netanyahu e Itamar Ben Gvir non mancano di astuzia politica. Il premier e il suo ministro della sicurezza nazionale lunedì sera hanno ingannato i media locali e internazionali facendo trapelare ad arte che Ben Gvir, leader del partito di estrema destra religiosa Otzma Yehudit, avrebbe rinviato sine die per ragioni di opportunità politica la sua «visita» alla Spianata delle moschee di Al Aqsa e della Roccia considerata dell’Ebraismo il Monte del biblico Tempio distrutto duemila anni fa. Lo ha rivelato ieri la tv Canale 12, vicina al governo, aggiungendo che questa mossa ha evitato che migliaia di palestinesi si radunassero a difesa del luogo santo islamico. Così Ben Gvir ieri mattina alle 7, protetto da dozzine di agenti di polizia, è entrato a sorpresa sulla Spianata dove ha passeggiato per una quindicina di minuti. «Noi garantiamo libertà di movimento ai musulmani e ai cristiani ma anche gli ebrei saliranno sul Monte del Tempio. E per chi esprime minacce ci sarà un pugno di ferro», ha avvertito Ben Gvir. Secondo i media israeliani il capo dell’ultradestra visiterà «a sorpresa» il sito religioso una volta al mese, con il consenso di Netanyahu.

Ben Gvir è stato numerose volte sulla Spianata ma questa è la prima volta che lo fa da ministro. Ecco perché la sua passeggiata è considerata un blitz «statale» volto ad affermare la sovranità di Israele ovunque a Gerusalemme Est, la zona araba occupata nel 1967, e una sfida aperta allo status quo sulla Spianata. Uno status definito 55 anni fa e ribadito nel 1994 nel trattato di pace tra Israele e Giordania (custode di Al Aqsa) che la destra religiosa non accetta, anzi insiste per andare alla spartizione del luogo santo islamico dove organizzazioni radicali con sostegni in Parlamento vorrebbero ricostruire il Tempio.

Non è detto che la mossa a sorpresa di Netanyahu e Ben Gvir non inneschi nelle prossime ore e giorni reazioni e proteste palestinesi più ampie. Ieri sera non erano esclusi lanci di razzi da Gaza. Di sicuro fa salire la tensione in Cisgiordania dove è già alta da mesi e ieri, prima dell’alba, soldati israeliani hanno ucciso un ragazzo di 15 anni nel campo profughi di Dheishe, il terzo palestinese colpito a morte dall’inizio dell’anno. Per il movimento islamico Hamas la «visita» di Ben Gvir è «la continuazione dell’aggressione da parte degli occupanti contro i luoghi santi dell’Islam e della guerra contro Gerusalemme». Secondo il premier palestinese Mohammed Shttayeh «l’assalto (di ieri) mira a trasformare la moschea di Al-Aqsa in un tempio ebraico, il che costituisce una violazione di tutte le norme, valori, accordi e leggi internazionali». I palestinesi ribadiscono «la difesa» del loro luogo santo e, stando alle notizie che girano, intenderebbero contrastare, con una vigilanza continua, i blitz futuri di Ben Gvir.

La prova di forza israeliana intanto ha scatenato una ondata di reazioni diplomatiche. Proteste sono giunte dall’Europa, dai paesi arabi e islamici inclusi quelli alleati di Israele, e dagli Stati uniti. L’ambasciatore di Israele ad Amman Eitan Surkis è stato convocato dal ministero degli esteri giordano dove ha ricevuto una lettera in cui si ribadisce che Israele, «in quanto potenza occupante, deve rispettare il diritto internazionale nella città occupata di Gerusalemme e nei suoi Luoghi santi» e mettere fine ai «tentativi di alterare lo status quo storico e legale» che proclama la moschea al-Aqsa assieme con la intera Spianata «un luogo di culto islamico». Per la monarchia hashemita conservare la custodia dei luoghi santi a Gerusalemme è prioritario poiché legittima il suo ruolo nella regione e nel mondo islamico. Il gesto di Ben Gvir riapre le ostilità tra re Abdallah e Benyamin Netanyahu dopo il miglioramento delle relazioni tra i due paesi registrato nell’anno e mezzo in cui è rimasto al potere in Israele il governo Bennett/Lapid. Sono scesi in campo anche gli Stati uniti che attraverso la loro ambasciata hanno descritto come «inaccettabili» le minacce allo status quo ai luoghi sacri. L’ipocrisia di Washington riemerge anche in questa occasione. Gli Usa chiedono a Israele di rispettare la legalità mentre hanno violato le risoluzioni internazionali prima riconoscendo unilateralmente nel 2017 Gerusalemme come la capitale di Israele e poi nel 2018 spostando la loro ambasciata da Tel Aviv alla città santa.

Intanto il premier Netanyahu deve fare i conti con il malumore che il blitz di ieri sulla Spianata provoca nei nuovi alleati arabi di Israele. La sua visita negli Emirati, prevista pare la prossima settimana, è stata rinviata per motivi «tecnici». Non è passata inosservata la nota di protesta giunta ieri da Abu Dhabi per il via libera dato da Netanyahu alla passeggiata di Ben Gvir sulla Spianata delle moschee.