Un «accordo storico» è la definizione che entrambe le parti, Libano e Israele, utilizzano per parlare del patto sulla linea di demarcazione marittima, oggetto di una lunga ed estenuante disputa e mediato dagli Stati uniti.

Tentato inutilmente per oltre una decade, l’accordo formalizzerebbe la suddivisione dei giacimenti di gas a largo delle coste libano-israeliane: quello di Karish andrebbe interamente a Israele, mentre quello di Qana (ancora da esplorare) andrebbe sotto il controllo libanese e Israele riceverebbe una quota dei futuri ricavi. Alla francese Total la licenza di estrarre.

ANCHE SE NEI FATTI l’accordo potrebbe segnare l’inizio di un processo di normalizzazione dei rapporti tra i due paesi, entrambe ci tengono a far sapere che non è così. Il presidente della repubblica libanese Aoun ha ribadito che Libano e Israele sono tecnicamente in guerra e che l’accordo non sarà l’inizio di una «partnership», bensì il riconoscimento del diritto libanese a utilizzare i propri giacimenti di gas.

La data è ancora da definire, ma non il luogo. Unifil (la missione Onu in Libano) ospiterà le delegazioni dei due paesi a Naqora, sulla Linea Blu che separa i due Stati e dove prova a mantenere un precario equilibrio da oltre 40 anni, assieme a quella americana e Unscol.

«Abbiamo poche notizie dell’accordo in sé, di cosa comporterà a livello politico: avverrà sotto l’ombrello Onu, ci occuperemo della logistica e di garantirne lo svolgimento in sicurezza, ma sono stati gli americani a mediare e a definirne i dettagli. Le parti non si incontreranno: la delegazione americana, assieme a Unscol, incontrerà separatamente quella israeliana e quella libanese. In un primo momento si era pensato al 20 ottobre, ma i tempi sono un po’ stretti», ci spiegano fonti interne a Unifil.

Anche per il primo ministro israeliano Lapid, che vorrebbe chiudere la partita prima della fine del suo mandato il primo novembre e che ha fortemente spinto per l’accordo tra dissapori interni, specie quelli dell’ex premier e candidato alle prossime elezioni Netanyahu, i tempi sono stretti.

IL LEADER DI HEZBOLLAH Nasrallah ha più volte rivendicato l’accordo come un successo del partito nell’ultimo dei frequenti discorsi pubblici. «In effetti – confermano da Unifil – queste ultime settimane sono state particolarmente tranquille e c’è grande attenzione da entrambe le parti, mentre la tensione prima di questo storico evento era molto più alta».

Al momento sono tutte premature le supposizioni sulla valenza geopolitica di questa firma, sul significato del via libera del Partito di Dio, sul fatto che questo sia un accordo strettamente economico che la crisi libanese ha solo accelerato o parte di una logica di riassetto di equilibri dell’area (in cui c’entrerebbe anche l’Iran e in prospettiva l’accordo sul nucleare, l’influenza delle sue tensioni interne).

Certamente l’accordo e quello che gli gira intorno è sfruttato dai singoli partiti per mandare ciascuno un messaggio alla propria base. Il Kataeb (destra conservatrice cristiana), uscito non benissimo dalle elezioni di maggio, chiede al presidente un passaggio parlamentare di una valenza più politica che legale. Lo stesso Hezbollah, non mettendosi di traverso e anzi attribuendosi non poco merito, vuole rassicurare la propria base anch’essa colpita dalla crisi e far sapere che il partito lavora per la risolverla.

AOUN, ALLA FINE del suo mandato, uno degli sconfitti morali delle elezioni, cerca un colpo di coda che lo legittimi nuovamente. Il genero Bassil, che guida il suo partito, è stato il bersaglio numero uno della rivolta anti-sistema di tre anni fa, quando la crisi è iniziata.

Nonostante i tecnici parlino di almeno tre anni di tempo per cominciare a sfruttare i giacimenti, l’accordo può segnare un cambio di passo. La lira libanese è passata in tre anni da 1507,05 per un dollaro a 40mila. Mentre il mercato è totalmente dollarizzato e i prezzi sono gli stessi di prima della crisi, gli stipendi hanno subito solo leggeri aumenti.

Le fasce di povertà si allargano vertiginosamente e la classe media è stata spazzata via. Sono ormai all’ordine del giorno partenze di migranti che spesso si trasformano in tragedia; poche settimane fa sono morte oltre 100 persone dopo che un’imbarcazione di disperati partita da Tripoli è affondata a largo delle coste siriane. E quotidiani sono anche gli assalti alle banche per riprendersi i propri risparmi congelati dal 2019. E quest’accordo può essere tanto uno spiraglio quanto l’ennesima illusione per un popolo martoriato.