In Kosovo c’è «una situazione esplosiva che non deve esplodere, ecco perché l'Italia vuole e deve essere protagonista della pacificazione dell'area dei Balcani», in cui ci sono anche «tanti Paesi candidati a far parte dell'Ue». Lo ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani, al Tg1, ricordando che «non a caso in quel territorio ci sono già 700 militari italiani che sono ben visti sia dai kosovari che dai serbi e che sono garanzia di pace e stabilità». «Ho parlato con il presidente serbo Vucic e il premier kosovaro Kurti, invitandoli a non prendere iniziative unilaterali e a lavorare per una de-escalation. L'Italia ha una voce in capitolo perché ha sempre seguito con grande attenzione l'area», ha aggiunto, sottolineando che «attraverso i Balcani passano anche rotte importanti di immigrazione».

Kosovo, in diecimila protestano a Mitrovica: "Siamo Serbia"

I Balcani, area di cronica e pericolosa instabilità nel cuore dell'Europa, tornano alla ribalta per il riemergere delle tensioni interetniche in Kosovo, dove maggioranza albanese musulmana e minoranza serba ortodossa, quest'ultima legata con filo diretto a Belgrado, fanno sempre più fatica a convivere.

Sconosciuti hanno lanciato in serata una bottiglia molotov contro la casa di una famiglia serba nei pressi di Gracanica, enclave serba a pochi km dalla capitale kosovara Pristina. Zoran Trajkovic, che al momento dell'attentato era in casa con i suoi familiari, ha detto che ad aver paura sono stati in particolare la moglie incinta e uno dei suoi figli di tre anni. Non si sono registrati comunque feriti, solo danni materiali all'abitazione.

(reuters)

Come riferiscono i media a Belgrado, già in passato la famiglia serba era stata oggetto di attacchi e provocazioni. Alcuni mesi fa sulla palizzata del cortile di casa era apparsa una scritta inneggiante all'Uck, l'Esercito di liberazione del Kosovo che combattè contro i serbi nel conflitto armato del 1998-1999, mentre in precedenza Zoran Trajkovic era stato attaccato e picchiato da alcuni kosovari di etnia albanese. Condannando l'attentato, il direttore dell'Ufficio governativo serbo per il Kosovo Petar Petkovic ha detto che esso è la conseguenza della politica di odio antiserbo portata avanti dal premier kosovaro Albin Kurti.

Nuove tensioni, queste, che provocano grande apprensione nelle cancellerie europee, nel timore di nuovi focolai e possibili scontri sullo sfondo del non lontano conflitto russo-ucraino. Per cercare di placare gli animi con appelli al dialogo e alla moderazione sono intervenuti nelle ultime ore l'Alto rappresentante Ue Josep Borrell e il ministro degli Esteri Antonio Tajani: entrambi hanno contattato il presidente serbo Aleksandar Vucic e il premier kosovaro Albin Kurti.

Il mancato riconoscimento da parte della Serbia dell'indipendenza proclamata nel febbraio 2008 dal Kosovo, considerato ancora una provincia meridionale e parte integrante del territorio serbo, rende inevitabile la collisione di posizioni e interessi, con la popolazione serba locale, appoggiata da Belgrado, che contesta le misure di Pristina intese a ribadire la sua piena sovranità statale.

Ad accendere nuovamente le polveri della protesta è stato l'obbligo imposto da Pristina sulla reimmatricolazione delle auto con targa serba, che va sostituita con quella kosovara con la sigla Rks (Repubblica del Kosovo). Un provvedimento a tappe, il cui termine ultimo per mettersi in regola è stato fissato al 21 aprile 2023, ma che già dalla fine di novembre prevede multe da 150 euro per chi non lo abbia ancora fatto.

Finora sono pochissimi i serbi che hanno cambiato targa, su un totale stimato di circa 9 mila auto con immatricolazione serba. Migliaia di serbi – oltre 10 mila secondo le fonti locali – hanno manifestato oggi nel settore nord (serbo) di Kosovska Mitrovica, la città del nord del Kosovo divisa dal fiume Ibar, per chiedere il ritiro del provvedimento intonando slogan nazionalisti in uno sventolio di bandiere serbe. Ma la questione delle targhe non è la sola ragione alla base delle nuove tensioni.

Da tempo i serbi del Kosovo, unitamente alla dirigenza di Belgrado, accusano le autorità di Pristina, e in particolare il premier Albin Kurti – politico radicale e su posizioni fortemente antiserbe –, di discriminazione nei loro confronti e di non rispettare gli accordi già conclusi nell'ambito del dialogo facilitato dalla Ue, a cominciare da quello del 2013 che prevede la creazione di una Comunità delle municipalità serbe in Kosovo.

Un organismo questo di cui Pristina non vuol sentir parlare ritenendolo contrario alla Costituzione (che vieta le entità monoetniche nel Paese) e una riedizione della Republika Srpska, l'entità a maggioranza serba della Bosnia-Erzegovina, il cui leader Milorad Dodik è nel mirino della comunità internazionale per le sue crescenti aspirazioni secessionistiche. Dopo che sabato i serbi hanno annunciato per protesta il ritiro dei propri rappresentanti da tutte le istituzioni politiche, giudiziarie e di polizia del Kosovo, e nel timore di un pericoloso degenerare degli eventi, la diplomazia internazionale si è messa subito al lavoro.

Anche per il montare delle accuse reciproche, con Pristina che denuncia il ruolo destabilizzante della Serbia, la cui politica è paragonata a quella della Russia di Vladimir Putin nei riguardi dell'Ucraina. Il ministro degli Esteri Tajani si è detto preoccupato e ha invitato le parti alla moderazione e a risolvere ogni problema attraverso il dialogo e il negoziato. "Ho assicurato il nostro impegno per la stabilità nei Balcani", ha detto il ministro riferendo dei colloqui telefonici. In campo anche Borrell che ha lanciato un appello a evitare azioni unilaterali che possano creare ulteriore tensioni.

I commenti dei lettori