Mentre il numero dei morti accertati nel terremoto che ha colpito Turchia e Siria salgano a 17mila, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan finisce sotto accusa per la lentezza dei soccorsi e la mancanza di preparazione del suo governo.

Erdogan ha risposto che non c’era modo di prepararsi a un evento di questa portata, ma ha ammesso che «ci sono stati dei problemi». In risposta alle critiche, nei giorni scorsi il governo turco ha bloccato l’accesso a Twitter. Secondo il capo del principale partito di opposizione, Kemal Kilicdaroglu, «non c’è nessuno più responsabile di Erdogan» per gli effetti del disastro.

I soccorritori intanto continuano a cercare sopravvissuti sotto le macerie. Ma dopo la terza notte consecutiva in cui la temperatura è scesa sotto lo zero, le possibilità di trovare qualcuno vivono si riducono di ora in ora. Secondo le stime più pessimistiche, il totale di persone intrappolate sotto le macerie potrebbe arrivare a 180mila.

In Siria

Un doppio dramma intanto è in corso nella Siria settentrionale, dove i danni del terremoto si sono aggiunti a quelli causati da dodici anni di guerra civile tra il regime di Bashar al Assad e le varie fazioni ribelli. 

L’arrivo di aiuti e soccorsi è ostacolato dalle sanzioni contro il regime, che rendono complicate e rischiose le donazioni (diversi attivisti siriani hanno suggerito che il governo potrebbe utilizzare il denaro inviato per altri fini) e l’invio di mezzi e personale di soccorso.

Il terremoto, inoltre, ha reso il nord del paese ancora più in accessibile. Il principale varco di frontiera con la Turchia è stato chiuso perché le scosse hanno reso la strada inagibile. 

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