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Migranti, "L'emergenza che non c'è": i centri per l'accoglienza sono sempre più grandi ed è difficile il processo d'integrazione sociale

Migranti, "L'emergenza che non c'è": i centri per l'accoglienza sono sempre più grandi ed è difficile il processo d'integrazione sociale
L’Italia punta sempre di più sui grandi centri di accoglienza. I più piccoli, che favoriscono l’integrazione, hanno perso 22mila posti negli ultimi due anni
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ROMA - Il nuovo governo richiama un possibile ritorno ai decreti sicurezza per regolare l’immigrazione e garantire regolarità. Ma secondo i dati raccolti dalla piattaforma OpenPolis, nel biennio in cui questi decreti sono stati attivi la situazione è peggiorata e sono aumentati i fenomeni di irregolarità ed esclusione sociale. I dati sono riportati nel report “Centri d’Italia. L’emergenza che non c’è”, realizzato da OpenPolis e Actionaid su dati relativi al 2018-2020, mentre dettagli sull’anno 2021 sono in fase di elaborazione (complice la reticenza del Viminale a fornirli, riporta OpenPolis).

Meno centri di accoglienza, più grandi. Uno degli effetti più evidenti dei decreti sicurezza attivi nel biennio 2018-2020 è stata la drastica diminuzione dei posti letto per rifugiati e richiedenti asilo (-40%) e lo smantellamento di un quarto delle strutture ricettive, che sono diventate 9mila. In particolare, sono stati chiusi i piccoli centri che promuovevano un modello di accoglienza diffusa. Qui circa 22mila posti sono andati persi, mentre le strutture più grandi (da 50 posti letto e oltre) sono rimasti in piedi. Anzi, diventano sempre più grandi, in particolare nelle metropoli. A Milano per esempio in media i centri di accoglienza sono 10 volte più grandi che nel resto d’Italia.

Si spende meno. Un altro dato interessante è la riduzione delle spese legate all’accoglienza. Si legge ad esempio che i centri a gestione prefettizia hanno sofferto un calo di finanziamenti, che sono passati dai 35 euro ai 25,60 euro pro capite al giorno. Una minore spesa garantisce una minore qualità dei servizi di base offerti.

Il sistema SAI. Anche il sistema di seconda accoglienza, SAI ex Sprar, ha perso posti– oltre 4500. Un fenomeno, questo, che incide sulla marginalizzazione sociale delle persone con diritto di asilo. Qui infatti si svolgono apprendimento linguistico, orientamento lavorativo, inclusione nel tessuto urbano.

Nessuna emergenza. È vero, tra 2018 e 2020 c’è stata una flessione del 42% delle persone accolte. Proprio per questo però il sistema di accoglienza avrebbe potuto prendere la forma di un sistema “ordinario”, anziché rimanere in perenne stato di emergenza e straordinarietà, una condizione che non sussiste più. I numeri e le presenze infatti sarebbero gestibili, con una visione politica adeguata: potenziare l’accoglienza diffusa e abbandonare la concentrazione dei grandi centri, una mossa a vantaggio sia degli ospiti che delle comunità ospitanti.