Mosca mette fine alla mobilitazione parziale: «Chi ha la cartolina può stracciarla»

di Marco Imarisio

Lunedì nella capitale russa sono stati chiusi tutti i centri di reclutamento per la mobilitazione parziale. Il sindaco: «Gli obiettivi sono stati raggiunti»

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Un ufficio di reclutamento chiuso a Mosca (EPA/MAXIM SHIPENKOV)

DAL NOSTRO INVIATO
MOSCA — «Stimati moscoviti. Quando il sindaco scrive, lo fa per dare buone notizie. La mobilitazione parziale è finita, almeno e per ora soltanto nella capitale. Non nei prossimi giorni, ma da subito. Il messaggio di Sergey Sobjanin è stato pubblicato a mezzogiorno. La chiusura di tutti i centri di reclutamento era prevista per le 14, appena due ore dopo. Non che ci fosse una gran ressa di aspiranti soldati, ma è la tempistica che colpisce. «Gli obiettivi sono stati raggiunti».

Le cartoline di precetto inviate a domicilio nel corso della mobilitazione, «cessano con effetto immediato la loro validità». Alcuni blogger nazionalisti hanno fatto subito notare che così si dà ragione a chi in questo mese ha fatto di tutto per sfuggire al reclutamento. E certe volte, diceva un politico molto longevo anche se non russo, a pensar male ci si coglie. La notizia ha una sua importanza, che va ben oltre i numeri striminziti. La sconfinata area metropolitana di Mosca era stata trattata bene dal decreto del Presidente e del decreto attuativo del Ministero della Difesa che regolava la questione. Sono partite per il fronte solo 32.000 persone, l’un per cento scarso dei residenti idonei. E molte delle esenzioni, a cominciare da quella degli studenti universitari e dei dipendenti dei ministeri, sembravano concepite per tenere a bada gli umori degli abitanti delle grandi città, sempre più suscettibili e soprattutto visibili rispetto a quelli della Russia più remota e profonda.

Mosca decide, la Russia segue. Spesso non è solo un proverbio. Appena tre giorni fa, al termine del vertice di Astana Vladimir Putin l’aveva anticipato. Questo lavoro sta per finire, tra due settimane tutto sarà concluso, aveva detto. Il Presidente non aveva negato i problemi, che fin da subito erano sembrati evidenti. «C’è stata grande confusione, legata ai vecchi registri di immatricolazione, che non sono stati aggiornati per decenni. Abbiamo capito la situazione solo quando è cominciata la fase operativa della mobilitazione». La capitale è anche la zona più colpita dalla fuga di massa all’estero per evitare l’arruolamento. Emigrazione esterna, ma anche interna. Migliaia di moscoviti sono scappati nelle dacie, cercando di far perdere le loro tracce all’interno di questo enorme Paese. Con l’annullamento di ogni cartolina di precetto, l’amministrazione di Mosca, con il beneplacito del Cremlino sta in qualche modo dicendo di tornare indietro, che tutto è perdonato.

A patto di fidarsi, dettaglio non scontato. Infatti, proprio commentando questa notizia, il sito indipendente Meduza ricorda le più recenti gaffes avvenute durante la chiamata alle armi. A cominciare dall’ultima, la convocazione della vietnamita Wu Hoang An Nguen, classe 1998, che due anni fa ha ricevuto anche la cittadinanza russa. Non ha mai prestato servizio militare, non è medico, ma lavora come analista finanziaria. «Penso che abbiano guardato solo l’indirizzo di residenza, e dal mio nome non hanno capito che sono una donna», ha commentato. Pavel Chikov, avvocato e presidente dell’associazione Agorà, mette in guardia, sostenendo che qualcuno ha fatto il passo più lungo della gamba. «La cessazione della mobilitazione non viene regolata da atti normativi. Le autorità delle regioni della Russia assecondano il suo svolgimento senza detenere alcun potere per dichiararla conclusa. Quindi le lettere di convocazione non perdono validità in relazione alla dichiarazione del sindaco di Mosca o governatore di qualunque altra regione».

Sergey Sobyanin, segnarsi questo nome. Forse non è casuale il fatto che è stato lui a comunicare una seppur parziale lieta novella per la maggioranza del Paese. Sessantaquattro anni, due lauree in ingegneria e giurisprudenza, ha fatto carriera amministrativa nella nativa regione petrolifera di Tyumen diventandone governatore. Poi è stato chiamato a Mosca a dirigere l’amministrazione presidenziale del secondo mandato di Putin, che lo volle con sé al governo durante la staffetta con Dmitry Medvedev. Dall’ottobre 2010 è sindaco di Mosca, rieletto l’ultima volta nel 2018 con il settanta per cento dei voti. È considerato da tutti come «il» fedelissimo del presidente, ora che nonostante le dichiarazioni ad effetto Medvedev appare in posizione più defilata. Per molti analisti è tra i favoriti a una eventuale successione. Il suo punto debole è l’assenza di legami con i Siloviki, gli uomini della forza che lavorano negli apparati di sicurezza. Ma è anche considerato come la figura ideale per normalizzare le relazioni della Russia con il mondo esterno. Come sempre, dipende da chi vincerà tra le due fazioni quando verrà il momento. E da cosa deciderà Putin, naturalmente.

18 ottobre 2022 (modifica il 18 ottobre 2022 | 11:27)