Emergenza climatica

Che fine fa la transizione ecologica con il governo Meloni

di Eugenio Occorsio   7 novembre 2022

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I nuovi ministeri e la spartizione delle deleghe creano conflitti sulle competenze. E dalle prime dichiarazioni già emerge la scarsa attenzione alle fonti rinnovabili. Così l’approccio dell’esecutivo di Destra mette a rischio i fondi del Pnrr

Fra l’8 e il 10 febbraio 2021 Mario Draghi, prima di andare al Quirinale per sciogliere la riserva e presentare al presidente della repubblica Mattarella la sua lista dei ministri, all’abituale serrato giro di consultazioni con i partiti e con le parti sociali aggiunse per la prima volta tre interlocutori: il Wwf, Greenpeace Italia e la Legambiente. Un gesto di consapevolezza che il cambiamento climatico e la difesa dell’ambiente dovevano entrare nel Dna della politica italiana, ma anche un’accortezza pratica: entrava nel vivo l’attuazione del Pnrr, e la maggior voce in assoluto - 71,2 miliardi pari al 37,1% dei fondi assegnati all’Italia - era destinata al “green deal”.

L’Italia con 191,5 miliardi complessivi (più 30,6 di fondi propri aggiunti dal governo), è la maggior beneficiaria dei fondi del Next Generation Eu. A fianco degli investimenti sulla rete ferroviaria, sulla sanità, sulla scuola e su tutte le altre infrastrutture da realizzare con i fondi del Pnrr, è indispensabile - secondo l’Europa e il buon senso - che il nostro Paese metta mano al dissesto idrogeologico, alla tutela dei boschi, dei fiumi e del mare, alle migliorie nella rete distributiva dell’acqua, allo sviluppo una volta per tutte delle fonti eolica e solare, persino alla ricerca nell’idrogeno pulito alla quale è assegnato un miliardo e mezzo secco. E tutto questo entro il 2026, vicinissimo in termini di programmazione.

Per affrontare tale mole di impegni nacque il ministero per la Transizione Ecologica, affidato a un tecnico come Roberto Cingolani, già a capo dell’Istituto italiano di tecnologia. Con base sul vecchio ministero dell’Ambiente, nato nel 1986 sull’onda dell’incidente di Chernobyl ma rimasto ai margini del dibattito politico e limitato nell’operatività dalla carenza di risorse umane, veniva finalmente creata una struttura organica in grado di interloquire con Bruxelles e di gestire i fondi con la capacità progettuale necessaria. Ad essa venne trasferito il dipartimento Energia dal ministero dello Sviluppo, furono poi creati un dipartimento chiamato esplicitamente “Sviluppo sostenibile” e un’unità di missione per il Pnrr. Nei venti mesi del governo Draghi sono stati assunti (o sono stati banditi i concorsi), con i fondi del Pnrr, 300 tecnici: agronomi, forestali, esperti di energia. Si sono sbloccati più impianti fotovoltaici che nei quattro anni precedenti.

Niente più di tutto questo. La transizione ecologica scompare nell’organigramma dell’esecutivo Meloni. Jeremy Rifkin, indomito guru della sostenibilità, si dice «molto preoccupato» della dimenticanza e teme che «l’Italia rischi di perdere molti dei fondi del Pnrr e di riportare indietro la protezione ambientale con riflessi negativi per tutta Europa». Si torna alla vecchia dizione, “Ambiente”, con l’aggiunta della “sicurezza energetica” che fa temere che si fugga dall’ecologia per concentrarsi sull’emergenza gas.

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L’ambientalismo in senso ampio e moderno, così come era entrato a Palazzo Chigi con Draghi ne esce con Giorgia Meloni, a conferma che l’ecologia non è in testa ai pensieri della destra in nessuna parte del mondo, da Trump a Bolsonaro. In questo versante politico cova una malcelata insofferenza per le tematiche ambientali quando non uno sprezzante revisionismo per l’emergenza climatica. Eppure il 2022 è stato l’anno della grande siccità, della spaventosa alluvione che ha travolto le Marche, del caldo anomalo a novembre, dei mille altri incontrovertibili segnali che qualcosa è già mutato e continuerà a mutare nel clima, e non in senso buono né da oggi: il 29 ottobre era il quarto anniversario della tempesta Vaia, la “martellata di Dio”, che abbatté 20 milioni di abeti secolari dalla Lombardia alla Carnia.

Ma nessuna memoria né alcuna emergenza attuale è servita. Ora bisogna rimettere mano all’intera organizzazione, e molte competenze potrebbero essere redistribuite a una mezza dozzina di ministeri. Il Mare, per esempio, cruciale nelle strategie sia economiche (il Pnrr prevede 390 milioni per aumentare le capacità dei porti) che ecologiche (molti altri fondi sono destinati alla lotta all’inquinamento e alla tutela delle specie marine), dovrebbe andare secondo logica al ministero cui è stato attribuito lo stesso nome (oltre che “del Sud”), affidato a Nello Musumeci. Il quale però sembra più intenzionato a duellare con Salvini sulle competenze nelle capitanerie che preoccupato della tutela ambientale.

Del tutto orfano rischia di essere poi il capitolo «economia circolare, gestione dei rifiuti urbani, sviluppo di fonti di energia rinnovabile, agricoltura sostenibile» che da solo vale 59,5 miliardi ovvero il 31% del totale del Pnrr e comprende anche lo sviluppo delle “reti intelligenti” fondamentali per le rinnovabili (che non danno energia per alcune ore del giorno). Ci sarebbe un ministro, Raffaele Fitto, a cui sono state attribuite le responsabilità denominate “Affari europei, Politiche di coesione e Pnrr” che però è senza portafoglio e quindi tecnicamente impossibilitato a occuparsi della gestione di una massa di investimenti così ampia e diversificata. Tutt’al più svolgerà una funzione di coordinamento fra Palazzo Chigi e… non si sa chi.

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Il ministero più “vicino” alla Transizione, con cui la collaborazione è stata più intensa, è quello delle Infrastrutture, impegnato in un miglioramento della rete ferroviaria, stradale, portuale del Paese che vale nel Pnrr 25,4 miliardi (il 13,2% del totale) ed è tutto improntato alla sostenibilità. Compito al quale ha adempiuto il ministro Enrico Giovannini, economista di livello internazionale, che dimostra adesso un rimarchevole fair-play: «Non sarei così pessimista», ci spiega. «Certo, c’è qualche mutamento lessicale, ma l’essenza non andrà perduta. Almeno spero».

Giovannini si è battuto per anni perché nella Costituzione venisse sancita la protezione ambientale, e all’inizio di quest’anno sono stati finalmente modificati gli articoli 9 e 41 che ora dichiarano: «la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione, tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi». E ancora: «la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali». Insomma, non si può più deragliare senza finire davanti alla Corte Costituzionale.

Riflette ancora Giovannini sui temuti cambiamenti nell’approccio ambientale del nuovo governo: «L’importante è che non vadano disperse iniziative come l’attuazione del Piano nazionale integrato per l’energia e il clima nonché del Piano per l’adattamento al cambiamento climatico. Oppure le materie ecologiche introdotte presso la Scuola nazionale dell’amministrazione, o ancora il neonato Cite, il comitato interministeriale per la transizione ecologica: bisognerà vedere se continuerà a chiamarsi così e se lavorerà intensamente come con il nostro governo». Questa è una fase cruciale, aggiunge l’ex ministro, «perché oltre alle misure per contenerlo occorre promuovere l’adattamento al cambiamento climatico, che è in parte irreversibile, e intanto ripristinare il più possibile gli ecosistemi distrutti. Tutto questo andrà fatto, e mi auguro che nessuno eccepirà, in stretto coordinamento con l’Europa. La stessa Giorgia Meloni ha affermato che da soli non si va da nessuna parte, e noi prendiamo per buone le sue parole».

Il problema è che la caduta di attenzione sulla questione ambientale almeno nell’atteggiamento iniziale («una follia visto che si gioca con il problema numero uno dell’umanità», la definisce Andrea Boitani, economista della Cattolica), arriva in concomitanza all’altra emergenza, la guerra con le sue conseguenze sul gas. «Non ci facciamo illusioni, è un’illusione riuscire a vincere insieme tutte e due le battaglie, quella contro Putin e quella per abbattere le emissioni», taglia corto l’economista tedesco Wolfgang Munchau nella sua newsletter Eurointelligence del 31 ottobre. E l’economista Giampaolo Galli, direttore dell’Osservatorio sui conti pubblici, commenta a sua volta: «In una sorta di omaggio all’attualità, è stato non solo ridenominato il ministero secondo la vecchia dizione, ma è stato aggiunto: “e della sicurezza energetica”. Perché oggi è considerata l’urgenza delle urgenze. Resta da capire se la questione della diversificazione delle fonti prenderà il sopravvento e farà dimenticare la lotta alla CO2, o se viceversa i due elementi si rafforzano. Insomma al cittadino, tranne forse che ai più giovani, interessa di risparmiare sulle bollette piuttosto che salvare il pianeta, e questo è logico: tutto è far sì che si comprenda che con più impianti eolici e fotovoltaici, con un maggior risparmio e un uso accorto delle fonti, si potranno centrare in un sol colpo entrambi gli obiettivi. Per la sicurezza insomma servono le rinnovabili».

Proprio il fatto che i problemi sono così strettamente connessi, rendeva strategico un apparato ministeriale forte e organico: «Il ministero della Transizione era necessario - spiega Grazia Pagnotta, docente di Storia dell’ambiente a Roma Tre - per la necessità di un approccio unitario all’intera problematica ambientale, come del resto è nello spirito del Pnrr: l’energia non può essere considerata scissa dalle infrastrutture, i trasporti e l’industria non possono essere considerati separatamente dalle politiche del territorio e da quelle urbane, la biodiversità dall’agricoltura, i boschi dal mare».

Non a caso una delle soluzioni più originali del governo è far affiancare al nuovo ministro il vecchio ministro quale consulente. Cingolani ha accettato di fare da advisor gratuito al ministro Gilberto Pichetto Fratin, non propriamente un esperto visto che si autodefinisce «commercialista e insegnante» con zero esperienze nel settore. Ma sarà un advising limitato a sei mesi e circoscritto a poche materie: price cap, stoccaggi, rigassificatori, disaccoppiamento del prezzo dell’elettricità. Tutto qui. Dopodiché, il Pnrr, per la sua parte più qualificante e più strutturale, volerà senza rete nell’empireo del centrodestra.