A tre mesi e mezzo dall’inizio della rivolta in Iran, tra le peggiori forme di repressione restano le condanne a morte, agite e minacciate. Due giorni fa il 19enne Ali Makan Davari è stato condannato alla pena capitale per «guerra a Dio», la fattispecie di reato più utilizzata nella Repubblica islamica per poter procedere con le esecuzioni.

Davari era stato arrestato a Langarood il 10 ottobre scorso. Ma a preoccupare ora è anche il destino di una coppia di attivisti curdi, Shawgar Mohammadi e Hossein Menbari, riparati tre mesi fa in Turchia dal Rojhilat, il Kurdistan in Iran.

Arrestati a Mugla il 15 dicembre scorso con altri 144 rifugiati, saranno deportati pur avendo fatto domanda di asilo politico (ancora senza risposta). A denunciare la decisione delle autorità turche è stato l’avvocato dei due attivisti, Duygu Inegollu, secondo cui c’è il rischio reale di una condanna a morte una volta rientrati in Iran per il loro ruolo nelle proteste del 2017-2018.

Intanto dagli Usa giungono nuove sanzioni. A essere colpito è proprio il procuratore generale di Teheran, Mohammad Montazeri, per il suo ruolo nella repressione delle proteste. Sanzionata anche la compagnia Imen Sanat Zaman Fara, produttrice di veicoli, granate e scudi usati dalla polizia.