La Bielorussia al fianco di Putin: i tre scenari del coinvolgimento di Lukashenko

di Andrea Marinelli e Guido Olimpio

Il presidente bielorusso ha dato l’ordine di creare «un gruppo regionale congiunto» con le truppe russe. Ci sarà un intervento diretto oppure è un allargamento di un supporto già ampio all’Armata?

desc img

Aleksandr Lukashenko, 68 anni, durante la riunione con i vertici militari bielorussi (foto Ap/Nikolai Petrov)

Lukashenko legge il copione scritto per lui a Mosca. Il presidente bielorusso accusa i nemici esterni, denuncia possibili azioni destabilizzanti, giura che sono gli avversari a volerlo trascinare nel conflitto, offre un altro pezzo del suo braccio al burattinaio del Cremlino. È una miscela propagandistica che nasconde le vere intenzioni del leader di Minsk: resta infatti da capire se questa volta parteciperà direttamente ai combattimenti. Alexander Grigoryevich Lukashenko, al potere da 28 anni, ha curato molto la scena: si è mostrato seduto al tavolone con i suoi generali, al termine della riunione ha dato l’ordine di creare «un gruppo regionale congiunto» con le truppe russe.

Cosa implica l’annuncio? L’intervento sul campo di battaglia oppure un allargamento del supporto già ampio? Di certo, ha affermato lui stesso di rientro da un incontro con Vladimir Putin a San Pietroburgo nel weekend, le truppe russe torneranno nel Paese come all’inizio dell’operazione militare «speciale», quando il Cremlino aveva ammassato le sue truppe lungo il confine con l’Ucraina. «Non saranno soltanto poche migliaia di soldati», ha spiegato ai leader militari del suo Paese. «Siate pronti ad accoglierli in un futuro prossimo e a piazzarli dove necessario, secondo i nostri piani». Dalla Russia, secondo l’intelligence ucraina, arriveranno 20 mila soldati.

Gli osservatori restano dubbiosi, ma non se la sentono di escludere che il presidente bielorusso compia un altro passo in chiave bellica. E per farlo deve avere un pretesto, ben confezionato. Per questo ha accusato Polonia, Lituania e Ucraina di appoggiare elementi «radicali» all’interno del suo Paese. È un teorema classico: gli oppositori — come quelli che nell’estate del 2020 sono scesi a migliaia in piazza per protestare contro la sua rielezione, denunciando brogli — sono manovrati da potenze straniere, rappresentano una minaccia alla sicurezza e dunque è necessario adottare contromisure.

Il fronte interno è in effetti molto attivo, ci sono stati per mesi sabotaggi alle linee ferroviarie usate dagli invasori per spostare mezzi necessari all’operazione «speciale». A questi colpi il regime ha reagito con retate e condanne, a testimonianza di un timore concreto. Qualche analista ha sottolineato come la presenza di una dissidenza profonda sia il freno maggiore per mandare i soldati oltre confine: potrebbe esplodere una rivolta, dicono, e già all’inizio del conflitto il dipartimento di Stato americano lo giudicava troppo debole per esporsi personalmente al fianco di Putin. I 60 mila uomini che compongono l’esercito di Minsk, inoltre, non sono giudicati all’altezza di una eventuale missione.

Le valutazioni teoriche accompagnano però delle notizie più concrete. Oltre all’annuncio delle unità miste, ci sono segnalazioni di treni con carri armati e munizioni in movimento verso la frontiera dell’Ucraina. In alcune caserme — e non da oggi — le autorità hanno fatto preparare spazi per accogliere migliaia di reclute russe, parte di quelle mobilitate a fine settembre. Da Kiev sostengono inoltre che alcuni dei droni-kamikaze di fabbricazione iraniana impiegati nei bombardamenti di lunedì sono stati lanciati proprio dalla Bielorussia: c’è attenzione particolare sulla base di Luminets, installazione nelle quale sarebbero arrivati i mezzi forniti da Teheran.

Ora sono tre gli scenari considerati.

Primo. Lukashenko rompe gli indugi perché non può opporsi alle pressioni di Putin — da cui dipende finanziariamente ed energeticamente — ed entra in guerra aprendo un nuovo fronte per impegnare Kiev, costretta così a trasferire reparti dai settori dove è all’offensiva. Lo si era già paventato alla vigilia dell’invasione, ipotizzando una manovra per tagliare le linee a nord.

Secondo. Ammassa i suoi battaglioni alla frontiera solo per esercitare pressione, lasciando gli ucraini nell’attesa e nel dubbio: i difensori devono continuare a preoccuparsi dedicando reparti nel caso che la minaccia si palesi. Secondo l’esperto Franz-Stefan Gady, questo ruolo di diversivo ha forse più impatto di un’azione reale.

Terzo. Si limita a fare da sponda all’Armata, favorendo raid, logistica e qualsiasi cosa possa tornare utile come ha fatto finora. Intanto alza il volume della propaganda.

IL PUNTO MILITARE GIORNO PER GIORNO

10 ottobre 2022 (modifica il 11 ottobre 2022 | 09:07)