Il 25 febbraio si terranno le elezioni presidenziali in Nigeria, una delle prime potenze economiche dell’Africa e la nazione più popolosa del continente. Il popolo nigeriano sarà chiamato a scegliere il suo nuovo presidente, che dovrà prendere il posto dell’ex generale Muhammadu Buhari, al governo dal 2015.

In un contesto di crescenti insoddisfazioni, dovute all’elevata inflazione, al peggioramento della sicurezza, all’avanzata di Boko Haram nel nordest del paese, alla violenza della polizia e alle numerose fratture etniche dentro ai confini nazionali, gli elettori nigeriani dovranno decidere il futuro di un colosso sempre più instabile.

I sette anni del presidente uscente Muhammadu Buhari hanno visto una paese attraversato da diverse crisi.

La Nigeria del post Buhari dovrà ora affrontare numerose sfide. Tra le più importanti, la preoccupante situazione economica contraddistinta da un terribile aumento del costo della vita e delle materie prime, dall’espansione della crisi climatica che ha colpito in maniera irreversibile molte regioni del paese, e da un tasso di disoccupazione al 33 per cento, con un picco al 42,5 per cento per i giovani.

Ad aggravare la situazione si aggiunge la crisi infrastrutturale che attanaglia certe regioni del paese, prive di servizi di base come acqua potabile ed elettricità.

Indipendentismo biafrano

Un ulteriore aspetto che ha contraddistinto il contesto geopolitico della quarta repubblica nigeriana è il riemergere dell’indipendentismo biafrano, che dal 2005 ad oggi ricopre un ruolo centrale all’interno del tessuto sociopolitico del paese.

Il sentimento indipendentista biafrano, acuito da un imperante revisionismo storico e dall’arresto di Nnamdi Kanu, leader del movimento secessionista Ipob (Indigenous People of Biafra), ha infiammato il dibatto politico nazionale, portando molti ad interrogarsi su cosa determina la Nigeria e chi la popola.

Le pressioni interne e la crescente etnicizzazione del discorso politico nazionale hanno portato l’Alta corte federale di Abuja a discutere la possibilità di un referendum per determinare il destino del Biafra e di altri gruppi indipendentisti il prossimo 30 marzo 2023.

Chiunque vinca le elezioni non avrà un compito facile. In corsa ci sono ben 18 candidati, tra cui Omoyole Sowore, che con il suo African Action Congress ha aspramente condannato l’operato del governo di Buhari attraverso numerose proteste sotto lo slogan di “RevolutionNow”.

I favoriti per la presidenza sono solo tre: il sessantenne Bola Ahmed Tinubu, il settantaseienne Atiku Abubakar e il sessantunenne Peter Obi.

Il primo si candida con il partito di governo All Progressives Congress (Apc) ed è conosciuto come il padrino politico della regione sud-occidentale, nella quale gode di una grande influenza e dove è stato più volte accusato di corruzione.

Il secondo si candida per conto del principale partito di opposizione, il People’s Democratic Party (Pdp). Presenza costante nei palazzi del potere, prima come alto funzionario e successivamente come vicepresidente sotto la governance di Obasanjo, Atiku Abubakar si è candidato per cinque volte alla presidenza, perdendo sempre.

Il terzo candidato, invece, spera di spezzare il sistema bipartitico nigeriano, che caratterizza il paese dalla fine della dittatura militare di Sani Abacha nel 1999, correndo con il Partito Laburista.

Ex membro del Pdp, Peter Obi viene visto come un volto relativamente nuovo all’interno del panorama politico nigeriano e gode di un forte sostegno sui social media e tra i giovani della nazione. I

mprenditore ed ex governatore dello stato sudorientale di Anambra dal 2006 al 2014, Peter Obi beneficia del supporto di numerosi sostenitori, noti come “Obidients", che lo ritengono l’unico candidato integro a concorrere alle elezioni presidenziali e a poter scardinare la leadership bipartitica.

Viste da fuori

Ma cosa rappresentano queste elezioni al di fuori dei confini nigeriani?

Oltre a costituire un evento centrale per le politiche nazionali nigeriane, le elezioni del prossimo 25 febbraio si inseriscono in un contesto internazionale e macroregionale turbolento.

I seggi si aprono sullo sfondo della crisi energetica globale, caratterizzata da una forte domanda internazionale di gas e petrolio e da un’impennata dei prezzi in seguito all’invasione dell’Ucraina.

Il conflitto e le sue conseguenze hanno visto diversi paesi, soprattutto in Europa, tentare di ridurre la loro dipendenza dalle forniture russe, portandoli a porre la propria attenzione sulle riserve di gas oltremare.

Questa “corsa al gas” precipita in diversi accordi tra Ue e paesi africani, con l’obiettivo di aumentare la produzione di gas all’interno dei mercati locali e garantirne l’esportazione verso l’Europa.

In primis, l’accordo italo-libico di otto miliardi, attraverso cui l’Eni, citando l’amministratore delegato della multinazionale italiana Claudio Descalzi, «rafforza la sua posizione come primo operatore in Libia».

Ed è all’interno di queste strategie politiche che il colosso nigeriano gioca un ruolo di primo piano.

Le riserve di gas e petrolio hanno portato la comunità internazionale ad aver un occhio di riguardo per il processo elettorale di fine febbraio e per il futuro del governo di Abuja.

Ad attirare l’attenzione dell’Unione europea è, infatti, il memorandum d’intesa firmato a Rabat il 15 settembre 2022 su un progetto di gasdotto che collegherà la Nigeria al Marocco e che rifornirà l’Africa occidentale e l’Europa, aprendo la possibilità di uno percorso di approvvigionamento energetico.

Il mega progetto del gasdotto trans-sahariano rappresenterà, dunque, uno dei principali punti dell’agenda politica della prossima presidenza nigeriana, dato che, nelle parole del ministro del petrolio nigeriano Timipre Sylva: «La più grande opportunità per noi è consegnare il gas direttamente all’Europa».

Le istituzioni regionali

A livello macroregionale, le elezioni nigeriane si terranno all’interno di un contesto che vede l’Ecowas (Economic Community of West African States) perdere sempre più credibilità e potere all’interno dell’Africa occidentale.

La crescente perdita di legittimità da parte dell’Ecowas avviene per via dell’inefficienza nel far fronte, nell’ultimo decennio, alle crisi economiche e politiche all’interno degli stati membri, così come all’attuale diffusione del jihadismo nella fascia saheliana.

Ad incrinare le relazioni interne alla comunità sono state le sanzioni e i blocchi economici imposti a Mali, Burkina Faso e alla Guinea Conakry a seguito dei colpi di stato militari, che hanno portato alla deposizione e arresto dei presidenti filofrancesi Ibrahim Keita a Bamako, Roch Mark Kaboré a Ouagadougou, e Alpha Condé a Conakry.

Accusata di proteggere gli interessi della classe politica e di rappresentare il volere francese all’interno dell’Africa occidentale, l’Ecowas si ritrova ora a fare i conti con le pressioni di alcuni stati membri, fortemente colpiti dai blocchi commerciali, e con le consistenti fratture interne, che hanno portato ad una alleanza tripartitica Ouagadougou-Bamako-Conakry volta a unire le forze in nome del loro storico passato anticoloniale.

Anche all’interno di questa dimensione geopolitica, il prossimo Governo di Abuja, sede del quartiere generale dell’Ecowas, si ritroverà ad occupare un ruolo fondamentale nel gestire e stabilizzare la delicata situazione di crisi geopolitica-diplomatica.

Le elezioni del 25 febbraio rappresenteranno, quindi, un banco di prova su più livelli, mostrando se e come la nuova governance nigeriana sarà in grado di affrontare le diverse sfide all’interno del panorama nazionale, macroregionale ed internazionale.

© Riproduzione riservata