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  • Lunedì 14 novembre 2022

La “russificazione” di Kherson non ha funzionato 

I tentativi di imporre lingua e cultura russe agli abitanti della città ucraina hanno incontrato per mesi diverse forme di resistenza

Soldati ucraini che rimuovono alcuni manifesti affissi dai russi a Kherson, il 13 novembre 2022 (AP Photo/LIBKOS)
Soldati ucraini che rimuovono alcuni manifesti affissi dai russi a Kherson, il 13 novembre 2022 (AP Photo/LIBKOS)
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Il ritiro dei soldati russi dalla città ucraina di Kherson dopo mesi di occupazione è stata un’importante vittoria per l’Ucraina: sia perché Kherson era stata una delle prime e principali città ucraine a essere occupate dall’esercito russo, sia perché lì si erano concentrati molti dei tentativi russi di assimilazione forzata della cultura ucraina. Ma la brutalità e la violenza dell’occupazione, unite ai successi dell’esercito ucraino nel resto del paese, hanno contribuito a rafforzare la resistenza degli abitanti per tutta la durata dell’occupazione.

– Leggi anche: Perché il ritiro russo da Kherson è importante

I russi avevano preso il controllo di Kherson all’inizio dell’invasione dell’Ucraina, un successo militare significativo: Kherson, capoluogo dell’omonima provincia, è un centro piuttosto grosso e collocato in una posizione strategica, tra le altre cose per la sua vicinanza alle città portuali del mar Nero.

L’occupazione russa di Kherson è durata oltre otto mesi. Fin dall’inizio si era vista una certa resistenza locale, nonostante la popolazione della città fosse per quasi metà russofona e di etnia russa. Alle proteste i russi avevano risposto con violenze e intimidazioni, unite a un esteso e capillare tentativo di «russificare» a forza la città e i suoi abitanti.

A Kherson erano stati per esempio vietato l’inno nazionale e la stessa lingua ucraina, forzatamente sostituita con quella russa. I tentativi di assimilazione si erano verificati anche nelle scuole, dove i soldati russi avevano fatto pressioni su insegnanti e dirigenti scolastici affinché adattassero i contenuti dei programmi alla propaganda russa, consegnassero tutti i libri di lingua e storia ucraina, o smettessero di parlare ucraino per parlare invece il russo.

Erano stati poi dati documenti russi ai cittadini ucraini, facilitando ulteriormente le procedure per la cosiddetta “passaportizzazione”, una pratica che la Russia aveva già ampiamente avviato soprattutto a partire dal 2019 nel Donbass. I russi avevano anche sostituito la moneta ucraina, la grivnia, con il rublo, ed erano state attuate misure per sostituire i prefissi telefonici delle sim ucraine in vendita col prefisso +7, quello russo, e per rendere più convenienti le chiamate internazionali verso la Russia rispetto a quelle all’interno dell’Ucraina.

Un soldato ucraino e alcuni abitanti davanti a due persone sospettate di aver collaborato coi russi durante l’occupazione, entrambe con le mani legate a un palo, il 13 novembre 2022 (AP Photo/LIBKOS)

I tentativi di resistenza ucraina all’assimilazione forzata erano già stati raccontati durante l’occupazione, e sono stati confermati da ulteriori testimonianze raccolte dopo il ritiro dei russi.

Al New York Times alcuni abitanti hanno raccontato per esempio che nelle scuole in cui era stato reso obbligatorio il canto dell’inno nazionale russo c’erano insegnanti che al mattino salutavano segretamente gli studenti col saluto nazionale ucraino, «Slava Ukraïni!». Altri abitanti hanno raccontato di aver accettato di mandare i propri figli a scuola solo dopo essersi assicurati che il personale si rifiutasse di insegnare i programmi scolastici decisi dai russi. Altri ancora, titolari di attività commerciali, si erano invece rifiutati di usare il rublo e avevano continuato a mandare avanti le proprie attività con la moneta ucraina.

Alla resistenza degli abitanti di Kherson hanno contribuito la violenza e la brutalità con cui gli occupanti russi hanno cercato a tutti i costi di «russificare» la città: le costanti intimidazioni, gli arresti e i brutali interrogatori inflitti a molte persone che protestavano facevano assomigliare il tentativo di assimilazione culturale a una forma di «pulizia etnica», ha detto al New York Times Serhiy Bloshko, un operaio di Kherson.

Più in generale, a Kherson è emerso con chiarezza come la guerra sia stata vissuta dagli ucraini in modo radicalmente opposto rispetto a quanto raccontato dalla propaganda del presidente russo Vladimir Putin, incentrata sull’idea di una «unità storica» tra russi e ucraini. Da dopo l’inizio dell’occupazione molti ucraini bilingui hanno per esempio smesso di parlare russo per usare solo l’ucraino, e in diverse zone del paese la resistenza ai russi si è allargata fino a trasformarsi in un più ampio rifiuto degli stessi legami culturali tra Russia e Ucraina.

A Kiev, la capitale ucraina, è stato proposto per esempio di chiudere un museo dedicato a Mikhail Bulgakov, scrittore russo nato proprio a Kiev. Il sindaco di Odessa, città portuale sul mar Nero, ha invece proposto di rimuovere la statua dedicata alla zarina Caterina II di Russia, considerata la fondatrice della città.

Festeggiamenti a Kherson per il ritiro dei russi (AP Photo/Yevhenii Zavhorodnii)

Alla resistenza degli ucraini a Kherson hanno contribuito anche i numerosi successi militari ottenuti dalle forze ucraine nel corso dei mesi di guerra, anche nelle zone a sud e a est e nella stessa regione omonima. Oltre a indebolire i russi, le vittorie ucraine hanno probabilmente mantenuto viva, nella popolazione sotto occupazione, la fiducia nel governo ucraino e la speranza di una futura liberazione della città.

– Leggi anche: Com’è la situazione a Kherson