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Iran, continua la repressione contro le famiglie dei manifestanti, gli avvocati vengono arrestati per impedire che facciano giustizia

Iran, continua la repressione contro le famiglie dei manifestanti, gli avvocati vengono arrestati per impedire che facciano giustizia
Il Centro per i diritti umani in Iran denuncia che dopo quasi cinque mesi dall'inizio della violenta repressione, le autorità continuano a picchiare, licenziare e minacciare le famiglie dei manifestanti detenuti e uccisi e indurli al silenzio
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ROMA - Oltre a impiccare, sparare e imprigionare gli iraniani per reprimere le proteste, le autorità della Repubblica islamica stanno attaccando i familiari di coloro che hanno ucciso e incarcerato. "I governi di tutto il mondo dovrebbero ridimensionare le loro relazioni con la Repubblica islamica senza un'immediata cessazione della violenza contro i manifestanti e le loro famiglie", scrive il direttore esecutivo del CHRI, il Centro per i diritti umani iraniano, Hadi Ghaemi.

La storia di Hossein e Mohammad Ekhtiarian. Hossein Ekhtiarian è stato prima arrestato e poi picchiato solo per aver chiesto informazioni su suo fratello Mohammad, detenuto dal 27 ottobre, giorno in cui fu arrestato durante una manifestazione. Mohammad è in coma a causa di un’infezione provocata dalle ferite subite durante l’arresto. Nel catturarlo gli agenti gli hanno sparato alla gamba sinistra. Suo fratello Hossein, invece, si trova in prigione dal 22 novembre con un braccio rotto solo perché ha provato a chiedere informazioni sulle condizioni del fratello, riporta il CHRI grazie a una fonte rimasta anonima per motivi di sicurezza.

La storia di Zeinab Molaei-Rad. Due mesi dopo che le forze di sicurezza hanno sparato e ucciso suo figlio di nove anni, Kian Pirfalek, a Izeh, nella provincia del Khuestan, Zeinab Molaei-Rad, che aveva denunciato l’accaduto anche con un post sui social, è stata sospesa dal suo posto di lavoro “fino a nuovo avviso”. Una fonte ha raccontato al CHRI che non è la prima volta che la famiglia Pirfalak subisce pressioni di questo tipo. Il giorno del funerale di Kian, Zeinab Molaei-Rad si è rivolta alla folla raccontando cosa fosse successo, ovvero che il piccolo era stato sparato e ucciso mentre si trovava in macchina con i genitori. Poi i funzionari di stato l’hanno costretta a fare false dichiarazioni in televisione, minacciandola che avrebbero interrotto le cure del marito in ospedale, che pure era rimasto ferito il giorno dell’assassinio di Kian.

La storia di Atekeh Rajabi. Dopo essere apparsa in un video senza l’hijab, anche Atekeh Rajabi, che è un’insegnante, è stata sospesa dal lavoro. “Non mi hai licenziata. Sono stata io a rifiutarmi di continuare a collaborare con te. Non posso lavorare con un’istituzione che toglie la sicurezza e la pace ai nostri figli” ha dichiarato in seguito Rajabi al Coordinamento del Sindacato degli Insegnanti.

Le minacce agli avvocati. Le autorità della Repubblica islamica stanno usando varie tattiche per impedire ai manifestanti detenuti di accedere a un giusto processo, inclusa la detenzione arbitraria di decine di avvocati. Almeno 44 legali sono stati arrestati da settembre 2022. Altri invece sono stati costretti a dimettersi dopo che il tribunale ha impedito loro di preparare un’adeguata difesa. E’ successo per esempio ai difensori di Armita Abbassi, una ragazza di venti anni che è stata torturata e stuprata in carcere. Gli avvocati hanno avuto pochissimo tempo per preparare una strategia difensiva e soprattutto non gli è mai stata data la possibilità di incontrare Armita in carcere. La ragazza, accusata di corruzione, ribellione e atti bellici, rischia la pena di morte.

Martiri invece che ribelli. Un avvocato ha raccontato al CHRI che i genitori di un manifestante ucciso dalla polizia gli avevano dato mandato per fare luce su quanto accaduto. Dopo qualche giorno però hanno fatto marcia indietro dicendo di non poter sostenere le spese legali. Alla fine l’avvocato ha scoperto che le agenzie di sicurezza nazionale li avevano convinti a tacere in cambio del riconoscimento del figlio come “martire”. Così avrebbero ricevuto una pensione e una serie di benefici statali.

La questione economica. Molti giovani manifestanti arrestati o uccisi appartengono alla classe operaia e dunque sono vittime anche delle politiche economiche del governo. Un operaio che ha tre figli, uno dei quali morto durante le proteste, e ha ricevuto lo stipendio solo una volta in otto mesi, non può chiedere giustizia perché deve preoccuparsi di sfamare e vestire gli altri due.

La libertà di perseguitare. L’avvocato che in anonimato ha parlato al CHRI, ha raccontato anche che a molte istituzioni statali è stato dato potere illimitato di perseguitare i manifestanti, attraverso regolamenti arbitrari. Per esempio quelli che vietano ai detenuti le visite o agli studenti l’ingresso nelle università. Nei giorni scorsi le norme che disciplinano gli Atenei sono state aggiornate con una nuova regola in virtù della quale i professori e gli studenti possono essere puniti se risultano iscritti a gruppi Telegram senza permesso.

Il bilancio delle proteste. Almeno 525 manifestanti, tra cui 71 bambini, sono stati uccisi dall’inizio delle manifestazioni a oggi. Più di 19 mila persone sono state arrestate da settembre 2022. Quattro manifestanti sono stati già impiccati senza un giusto processo, 20 sono stati condannati a morte e almeno 47 stanno affrontando accuse che potrebbero comportare la pena di morte.