Mondo Solidale

Sahel, fame diffusa, terrorismo, colpi di Stato: l'intera area sopravvive tra crisi presenti e future

La crisi alimentare, politica e della sicurezza coinvolge le popolazioni di numerosi Paesi dell'area
La crisi alimentare, politica e della sicurezza coinvolge le popolazioni di numerosi Paesi dell'area 
La pandemia, la siccità poi la guerra in Ucraina che, sebbene lontana, ha esasperato la crisi per i popoli nella fascia di territorio subsahariano, tra il deserto del Sahara a Nord e il Mar Rosso a Est
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ROMA - Prima la pandemia e la siccità, poi la guerra in Ucraina che, sebbene lontana, ha esasperato la crisi già grave in cui vivono i popoli del Sahel, una fascia di territorio dell'Africa subsahariana che si estende estesa tra il deserto del Sahara a Nord, la savana sudanese a Sud, l'oceano Atlantico a Ovest e il Mar Rosso a Est e che copre (da Occidente a Oriente) gli Stati del Gambia, Senegal, la parte meridionale della Mauritania, il centro del Mali, il Burkina Faso, la parte Sud dell'Algeria e del Niger, la parte Nord della Nigeria e del Camerun, la parte centrale del Ciad, il Sud del Sudan, il Nord del Sudan del Sud e l'Eritrea. Un'area di passaggio climatico dall'area arida del Sahara a quella fertile della savana sudanese.

L’insicurezza alimentare e sociale. Le forniture di cereali provenienti da Ucraina e Russia sono diminuite. L’inflazione ha causato un aumento di oltre il 30 per cento del prezzo del mais e del grano. Le conseguenze del conflitto in corso ricadono sulle fasce più povere della popolazione africana, che non possono permettersi di acquistare cibo importato e quindi più sicuro. Lo ha messo bene in evidenza la FAO in uno dei suoi ultimi rapporti: nei prossimi mesi trentaquattro milioni di persone nel versante occidentale del continente non riusciranno a garantirsi cibo in modo regolare. Il Senegal, per esempio, dipende quasi esclusivamente dalle esportazioni di grano dalla Russia. Secondo alcuni analisti, Mosca sfrutterebbe questa crisi per influenzare in qualche modo l’atteggiamento degli Stati africani sul conflitto in corso.

La crisi dei fertilizzanti. La Russia è il secondo fornitore di fertilizzanti della Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale (ECOWAS), con il 12 per cento del mercato. L’interruzione delle forniture delle materie prime però sta mettendo a dura prova il lavoro degli agricoltori. Il commercio del potassio, che è uno degli componenti principali dei fertilizzanti, è quello maggiormente a rischio: Mali, Niger, Costa d’Avorio, Burkina Faso, Sierra Leone e Senegal importano l’80 per cento di questo minerale da Russia e Bielorussia. Eppure, per alcuni analisti questa crisi potrebbe persino avere un risvolto positivo: spingere gli Stati a rafforzare le economie locali per sganciarsi dalle importazioni. La Nigeria avrebbe la capacità di sostituire le importazioni mancanti perché il Paese ha fatto notevoli investimenti nel settore dei fertilizzanti, sfruttando le enormi risorse di gas naturale. Il Marocco ha recentemente investito in Nigeria un miliardo di dollari per costruire due nuovi impianti per la produzione di fosfato, secondo i dati dell’International Food Policy Research Institute. Ma tutta l’area del Sahel è caratterizzata da una instabilità politica che influisce negativamente sullo sviluppo economico. Dal 2020 a oggi in tutta la zona ci sono stati cinque colpi di Stato, due dei quali in Burkina Faso. La Francia sta perdendo la sua storica influenza, mentre la Russia sta conquistando spazi nuovi.

La presenza straniera nel Sahel. Oggi, accanto all’Unione Europea e agli Stati Uniti, sono arrivate la Cina, la Russia, la Turchia, le potenze del Golfo: tutti Paesi con una forte impronta dirigistica e quindi con problemi di democrazia – commenta l’ambasciatore Giuseppe Mistretta in un incontro organizzato recentemente dall’Istituto di politica internazionale ISPI. Eppure la stabilizzazione della regione è una priorità per l’Unione Europa dal 2104. “Sfortunatamente oggi la questione politica e quella relativa alla sicurezza hanno subito un ulteriore deterioramento. Se prima i problemi erano concentrati soprattutto nel Nord del Mali, adesso si sono estesi al Mali centrale, nelle zone settentrionali e orientali del Burkina Faso, nel Niger occidentale e nei paesi costieri: Benin, Togo, Costa d’Avorio”, spiega Niagalé Bagayoko, esperta di sicurezza presso l’African Security Sector Network, in Ghana. Si tratta di una crisi multidimensionale perché coinvolge diverse entità: i jihadisti, i gruppi ribelli che operano principalmente nel Mali settentrionale, le nuove milizie che si stanno espandendo in Mali come in Burkina Faso e nelle aree occidentali del Niger, le organizzazioni criminali, dedite soprattutto al traffico di esseri umani.

La questione migratoria. La crisi migratoria nel Mediterraneo centrale detta da anni l’agenda della politica europea. Combattere i flussi migratori irregolari, rafforzare la capacità dei governi dell’area di controllare le frontiere e facilitare i processi di rimpatrio sono una priorità per l’UE. Ma la sola criminalizzazione dei passeur locali, senza una politica in grado di fornire valide alternative in termini di occupazione, non fa altro che facilitare il lavoro di reclutamento delle organizzazioni criminali senza risolvere il problema dei flussi irregolari. L'esternalizzazione dei confini europei nel Sahel e le politiche incentrate sulla sicurezza attuate dall'UE e dai governi africani hanno ridotto il numero di migranti che raggiungono l'Europa, ma hanno aumentato le pressioni sui sistemi economici e sociali locali, già fragili.

Il ruolo della Russia. Mosca sfrutta a proprio vantaggio l’instabilità della zona e lo fa puntando sulla sicurezza, anche perché l’Occidente non è disponibile a inviare soldati sul terreno, spiega Tatiana Smirnova, ricercatrice del Centre Francopaix, in Canada. Il ritorno massiccio della presenza russa in Africa risale al 2017, quando furono firmati accordi di cooperazione militare con il Ciad, il Burkina Faso, il Niger e il Mali. Ma recentemente ha fatto notizia per la presenza nel Sahel dei militari privati del gruppo Wagner, i quali combattono i jihadisti e garantiscono protezione alle autorità locali in cambio di una compensazione finanziaria e concessioni minerarie, come si legge nell’ultimo rapporto di ISPI. Naturalmente l’evoluzione degli equilibri del Sahel preoccupa l’Occidente, perché i russi si stanno espandendo in un territorio tradizionalmente sotto l’influenza di Parigi e dove non da oggi sta prendendo piede un diffuso sentimento antifrancese.