Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha recentemente dichiarato che la decisione di correre e di far correre ai propri figli un rischio come quello della traversata del Mediterraneo è da irresponsabili, soprattutto se in condizioni di mare come quelle che hanno portato alla morte di decine di persone nel naufragio nella notte tra il 25 e il 26 febbraio al largo della Calabria.

Tralasciando il fatto che, in molti casi, le persone che salgono sui barconi non decidono quando partire, ma salgono a bordo quando viene loro ordinato con la minaccia della violenza, può essere interessante provare a capire quali motivi spingono le persone a un viaggio così disperato, anche in condizioni meteorologiche ideali. È spesso opinione comune, infatti, che la maggior parte dei migranti si spostino per ragioni economiche.

La ricerca del benessere è sicuramente importante, ma non è vero che ci si sposta solo da paesi poveri, ma stabili. Innanzitutto, da dove arrivano i migranti che approdano sulle nostre coste? Quasi due terzi dall’Africa meridionale, il 40 per cento circa dalle sole Guinea e Costa d’Avorio. Non è difficile immaginare perché: l’Africa subsahariana è la regione più povera del mondo. Secondo la Banca mondiale, una persona su tre vive con l’equivalente di meno di 2,75 dollari al giorno e quasi nove su 10 vivono con meno di 6,85 dollari al giorno a parità di potere d’acquisto.

Da dove arrivano i migranti nel 2023

Importante anche la presenza di migranti che arrivano da Pakistan e Bangladesh (uno su cinque). Anche in questo caso, c’entra l’aspetto economico: il Pil pro capite a parità di potere d’acquisto (ossia considerando le differenze nei prezzi tra paesi) vale meno di un sesto di quello italiano. Tra le prime dieci nazionalità dichiarate da chi è arrivato nel 2023, il 18 per cento arriva da Tunisia ed Egitto. I viaggi da questi paesi sembrano giustificati anche in questo caso da ragioni economiche, ma soprattutto dalla distanza ravvicinata rispetto all’Italia.

Non solo per disoccupazione e fame

L’aspetto economico è sicuramente importante ed è difficile biasimare chi decide di emigrare per fuggire dalla fame e dalla povertà (anche se il Governo non si fa problemi a farlo). Ma la prospettiva di una vita con maggiore benessere economico non è l’unica ragione per cui le persone lasciano il proprio paese e tentano una traversata disperata verso l’Italia. Sempre osservando le prime dieci nazionalità dichiarate dai migranti sbarcati nel 2023, è possibile osservare quali sono le condizioni nei paesi che vengono abbandonati da chi attraversa il Mediterraneo.

Innanzitutto, nessuno dei paesi da cui provengono la maggior parte dei migranti è considerato una democrazia. Ben 6 su 10 sono considerati autoritari dal Democracy Index dell’Economist, alcuni perché dittature vere e proprie, altri perché così limitati nella libertà da esserlo di fatto, mentre i restanti sono regimi ibridi, cioè in una situazione di transizione verso maggiore democrazia o autoritarismo. Di solito, i paesi da cui partono i migranti si stanno avvicinando più verso questa seconda opzione.

Guardando più nello specifico, il 40% dei principali paesi di partenza si trova sotto il controllo di un regime dittatoriale: Guinea, Mali e Burkina Faso sono controllate da una giunta militare, mentre l’Eritrea è una dittatura totalitaria di fatto. Un fattore fondamentale, comunque, è la mancanza di libertà civili e politiche, che caratterizza anche quei paesi che non si trovano necessariamente sotto una dittatura.

Diritti come la libertà d’espressione e di stampa non sono garantiti in 8 paesi su 10 tra le principali nazionalità dei migranti, mentre in 6 su 10 non è presente un sistema politico e partitico strutturato, risultante in una costante instabilità politica. Anche il rischio concreto di subire violenze è una delle ragioni per migrare. In due paesi il rischio di terrorismo è molto alto, mentre in altri due è considerato elevato dal Global Terrorism Index 2022.

Si tratta soprattutto di attacchi per motivi religiosi: in Pakistan, dove le violenze si sono intensificate negli ultimi vent’anni, ma anche in Mali, terreno molto fertile per lo jihadismo africano. In Egitto e in Burkina Faso, invece, gli attacchi sono legati soprattutto a motivazioni politiche.

Insomma, la scelta di partire per un viaggio disperato potrebbe sembrare irresponsabile ai più, ma l’alternativa spesso è tra il rischio e la certezza di morire.

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