L’Ucraina, il secondo paese più vasto del continente europeo dopo la Russia con i suoi 60 milioni di ettari di territorio, nel 2017 era riuscita a superare i 4 milioni e mezzo di ettari di zone protette. La vegetazione naturale e semi-naturale copre il 29% del paese, vantando circa 220 tipi differenti di paesaggio, dalle foreste alle steppe, dalle paludi alle saline. Possiede specie endemiche e residuali. Occupa meno del 6% dell’area Europea eppure detiene il 35% della sua diversità.

DAL 24 FEBBRAIO DEL 2022, almeno 1,24 milioni di ettari di riserve naturali sono state colpite dalla guerra. Sono stati danneggiati 3 milioni di ettari di foresta e altri 450 mila ettari sono in questo momento territorio occupato o zone di combattimento. Inoltre, vi si trovano anche centrali nucleari, porti marittimi, impianti di stoccaggio di rifiuti pericolosi (fertilizzanti minerali, schiuma poliuretanica, vernici, olio e lubrificanti, ecc.) impianti chimici e metallurgici. Non si contano gli incendi in depositi di petrolio, stazioni di servizio, discariche, i danni agli impianti di riscaldamento, approvvigionamento idrico e depurazione.

TRADOTTO, L’IMPATTO ambientale è enorme e le sue conseguenze affatto trascurabili per il futuro del paese. A distanza di un anno dall’inizio del conflitto, Greenpeace Central and Eastern Europe (Cee) assieme ad Eco-action, la più grande Ong ambientalista dell’Ucraina, hanno pubblicato una Mappa dei danni ambientali causati dalla guerra e relativi impatti. Si tratta del frutto di un lavoro di monitoraggio che fin dai primi giorni del conflitto viene portato avanti anche da altre associazioni ambientaliste in Ucraina. La mappa ha attinto ai dati relativi a quasi 900 casi di grave danno ambientale e illustra nei dettagli i 30 casi ritenuti più significativi.

La categoria che presenta più casi è quella relativa ai danni agli impianti industriali: nella maggior parte sono attacchi di artiglieria pesante e missili a depositi di combustibili: sono avvenuti in tutto il paese, da Leopoli e Mykolaïv, da Kiev a Kharkiv; in quest’ultima città in particolare, vari derivati del petrolio sono bruciati dentro i suoi confini, a soli 500 metri dai primi edifici, rilasciando in poco tempo nell’aria un quantitativo di sostanze pari a quelle emesso da un’intera città nel giro di un mese.

Durante gli incendi vengono rilasciate sostanze tossiche e/o cancerogene come monossido di carbonio, benzopirene, ossidi di azoto e zolfo; cenere e particelle che, entrando nel tratto respiratorio, possono provocare malattie e persino la morte. Un’elevata concentrazione di inquinanti nell’atmosfera può portare a piogge acide, dannose per la vegetazione. Le fuoriuscite di petrolio, anche senza incendi, inquinano il suolo, andando in profondità per decine di centimetri. Inoltre, le sostanze emesse in aria nel corso del tempo precipitano sulle superfici e sul suolo, diffondendosi su vaste aree; quindi, penetrano nei corpi idrici e avvelenano interi ecosistemi.

Gravi anche le conseguenze dell’incendio che ha colpito i magazzini per lo stoccaggio di surgelati vicino a Kiev, dove si stima siano bruciate 50 mila tonnellate di pesce congelato. Un incendio di questo tipo è pericoloso non solo per i prodotti nocivi della combustione, ma per le migliaia di tonnellate di resti che andavano recuperati e smaltiti. Quelli rimasti sotto le macerie si sono decomposti, e il decadimento delle sostanze organiche ha prodotto metano, il più potente dei gas serra. È ancora impossibile poi valutare a quale scala arrivino i danni ambientali provocati dalla distruzione delle acciaierie Azovstal e della fabbrica di vetro Skloplastik.

LE INFRASTRUTTURE energetiche hanno subito massicci bombardamenti in quasi tutto il paese e sono state danneggiate circa la metà. Le conseguenze negative non si limitano al fatto che moltissime persone rimangono senza approvvigionamento energetico, ma si ripercuotono anche sull’ambiente. Se in tali strutture è presente un deposito di combustibile – il più delle volte carbone o torba – può prendere fuoco e causare emissioni significative di sostanze tossiche.

La sicurezza nucleare è minacciata dai danni alle strutture secondarie degli impianti: linee elettriche e cabine di controllo cruciali per i sistemi di raffreddamento.

L’ENTITÀ DEI DANNI alla biodiversità e agli ecosistemi sia terrestri che marini è rappresentata anche solo da una parte dei casi mappati. A seguito degli incendi causati dall’aggressione russa, 17mila ettari di foreste sono stati distrutti nell’oblast di Luhansk, dove si trova Tryochizbensky Steppe una delle ultime grandi aree in Ucraina dove è stato preservato un ecosistema steppico unico e primario. Ospita specie rare di piante e una specie di roditore che si trova solo lì e in Crimea.

Capo Kinburn è un cordone litoraneo situato sulla costa dell’oblast di Mykolaïv, ed è un’area protetta unica nel sud dell’Ucraina che detiene 415 specie animali rare e almeno 47 di piante, funghi e licheni. Attualmente è temporaneamente occupata dalle truppe russe e vi si verificano periodici incendi, che a marzo-giugno hanno distrutto 1.840 ettari di zona protetta. Vi si riproducono dozzine di specie di uccelli, comprese quelle rare come i pellicani rosa.

Capo Kinburn è anche uno dei luoghi più grandi d’Europa dove si può assistere alla fioritura delle orchidee selvatiche. L’esistenza di questo ecosistema è minacciata non solo dagli incendi, che secondo varie stime hanno già interessato il 20-30% del cordone, ma anche dai macchinari pesanti e dalle postazioni di tiro, essendo che da qui i russi bombardavano Kherson.

Anche l’oblast di Kherson, martoriato dagli incendi, è rilevante dal punto di vista ambientale: si trova sulla riva destra del fiume Dnipro, che sfocia nella baia e poi nel mare non lontano dalla città; l’estuario forma un paesaggio unico di baie, stretti, laghi e rami con più di 50 isole, ricche di zone umide caratterizzate da una fitta vegetazione che presenta specie rare.

Nel Mar Nero e nel Mare di Azov sono stati frequenti i danneggiamenti a navi, commerciali e da guerra, petroliere, e piattaforme. Solo per citarne uno, il caso della petroliera moldava Millennial Spirit, colpita a luglio da un missile russo; rimasta alla deriva senza equipaggio, trasportava più di 500 tonnellate di gasolio ed è presumibilmente affondata, lasciandosi dietro incendi e maree nere. Il bombardamento e l’incendio delle navi in mare è una minaccia non solo a causa delle emissioni di sostanze inquinanti nell’aria e nell’acqua. A seguito di fuoriuscite di petrolio, si forma una chiazza sulla superficie dell’acqua, che influisce sui processi fisico-chimici e biologici e impedisce all’ossigeno di penetrare nell’acqua. Inoltre, i prodotti petroliferi sono tossici per la vita marina, dai microrganismi ai grandi mammiferi come i delfini. Il 22 ottobre, un biologo e capo del dipartimento scientifico del Parco Naturale Tuzlivski Lymany , vicino a Odessa, ha riferito che un delfino morto è stato ritrovato sulla costa del Mar Nero all’interno del parco. È stato il primo di una serie. Secondo gli scienziati, almeno 50.000 cetacei sono morti in mare durante la guerra.

Uno degli obiettivi della mappa è quello di richiamare l’attenzione sulle aree naturali che necessitano di un intervento immediato; ovviamente dove possibile, perché molte zone sono ancora minate. Ma anche di raccomandare l’importanza del ripristino ambientale del paese, il cui degrado ha conseguenze a breve e anche a lungo termine sulla salute. Per avvenire veramente richiederà l’istituzione da parte dell’Europa di un fondo speciale.