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Siria nord occidentale, le voci dal campo per sfollati dell'area curda a Shabha: "Qui siamo sotto assedio, le milizie bloccano gli aiuti"

Siria nord occidentale, le voci dal campo per sfollati dell'area curda a Shabha: "Qui siamo sotto assedio, le milizie bloccano gli aiuti"
Gli aiuti dovrebbero passare per decine di check-point e chi li volesse inviare dovrebbe pagare tasse molto care. "Chiediamo alla comunità internazionale di fare lo sforzo di venire qui di persona e di aiutarci direttamente"
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ROMA (Agenzia DIRE) - "Il nostro campo profughi è assediato: truppe turche e milizie pro-Ankara a Nord e a Est, gruppi armati vicini all'Iran a Ovest, forze armate siriane a Sud. Gli aiuti per sostenerci dopo il terremoto dovrebbero passare per decine di check-point e chi li volesse inviare dovrebbe pagare tasse molto care. Chiediamo alla comunità internazionale di fare lo sforzo di venire qui di persona e di aiutarci direttamente perché siamo isolati". L'appello - affidato all'Agenzia DIRE - è del giornalista e attivista Jan Hasan. Lui si trova nel campo profughi per sfollati di Shahba, nel governatorato di Aleppo, nel Nord della Siria, a meno di una cinquantina di chilometri dall'omologo capoluogo.

La testimonianza dal campo di sfollati. La regione è fra quelle colpite dal terremoto che ha provocato vittime e distruzioni nella Turchia meridionale e, appunto, nel Nord della Siria. Diverse scosse a partire dall'alba di ieri, fino a 7.9 gradi di magnitudo sulla scala Richter e con epicentro nella provincia turca di Kahramanmaras, le più forti, e poi anche di Gaziantep e altre. Oltre 5mila le vittime nei due Paesi, stando a fonti ufficiali. Hasan vive a Shabha assieme a circa 1.500 persone sfollate, dove coordina una piccola Ong, ed è in contatto diretto con la sua città natale, Jeindireis. La località è un sobborgo di Afrin, città a maggioranza curda, fra le più colpite dal sisma situata una quindicina di chilometri a Nord-Ovest, sempre nel governatorato di Aleppo. "Sono fuggito da Jeindireis, dove sono crollati 84 palazzi, quando ci fu l'operazione militare turca nel 2018 e mi sono stabilito con la mia famiglia qui a Shabha - riferisce Hasan - il campo profughi è fatto di tende e da case basse e questo ha fatto sì che i danni delle scosse siano stati pochi, solo alcune persone sono rimaste ferite. Ma abbiamo ancora paura e dormiamo nelle auto, nonostante faccia molto freddo e piova continuamente".

"Hanno perso la vita almeno 15 miei parenti". L'attivista continua: "La mia città natale è stata invece fra le più colpite dal terremoto. Parliamo di una città di poco più di 25mila abitanti che rischia verosimilmente di avere almeno 1.000 vittime". Gli effetti delle scosse hanno colpito Hasan anche personalmente. "Sono almeno 15 i miei parenti che hanno perso la vita, da quello che so al momento". Il terremoto ha colpito un Paese già debilitato da una guerra civile che dura dal 2011 e che ha determinato una divisione del territorio per zone di influenza di milizie, eserciti e potenze regionali. Shabha, dalla ricostruzione di Hasan, sembra essere emblematica della parcellizzazione che caratterizza il Paese: "Il campo è sostenuto dal Consiglio di Afrin e dalle autorità autonome della Siria del Nord e del Nord-Est, anche con matrice curda. Questi organismi forniscono gratis elettricità, tre ore al giorno, e acqua potabile", spiega l'attivista.

Difficili gli aiuti: il lavoro di una Ong tedesca. "L'area del governatorato di Aleppo, dove ci troviamo noi, è ufficialmente sotto il controllo delle milizie delle opposizioni siriane, sostenute direttamente dalla Turchia. E il campo profughi si trova di fatto assediato su tutti i fronti: i turchi, le milizie pro-Iran, e poi le forze armate al servizio del governo del presidente Bashar al-Assad, che hanno messo su numerosi check-point e che impongono il pagamento di pesanti tasse a chiunque provi a portare qualcosa gli abitanti del campo". Da tutto ciò deriva un sostanziale isolamento, che l'organizzazione gestita da Hasan, sostenuta dall'Ong tedesca Sos Afrin della pastora Oliver Keske, è riuscita ad alleviare. "Siamo riusciti a consegnare dei cestini con del cibo agli abitanti, ma il blocco che ci è stato imposto è scioccante".

L'appello alla comunità internazionale. "Venite qui e sosteneteci direttamente: non passate per il governo siriano, come fanno agenzie delle Nazioni Unite: quegli aiuti finiscono in larga parte nel nulla". Le parole di Hasan giungono in un contesto di conflitto che neanche il terremoto, fra i più devastanti dell'ultimo secolo a detta di esperti concordanti, è riuscito a fermare. "Ieri", riferisce infine l'attivista, "le truppe turche hanno sparato colpi di artiglieria verso i campi coltivati nei pressi del villaggio, solo per incutere terrore. Ormai ci siamo abituati a questo: Ankara colpisce ogni giorno".

Le notizie sugli aiuti dal regime siriano. Il quotidiano online Al Watan Syria riferisce che "| Paesi fraterni e amici hanno inviato i loro aerei carichi di aiuti per soccorrere i colpiti e altri ne arrivano oggi. messaggi di condoglianze sono ginti al presidente Bashar Al-Assad assieme alla conferma della disponibilità a soccorrere le popolazioni colpite dal sisma". Dall'organo d'informazione di Damasco si apprende che c'è un "continuo sbarco di soccorsi per i siriani con aerei atterrati nell'aeroporto di Lattakia: 5 cargo russi, carichi di generi alimentari e soccorsi, assieme ad equipaggi tecnici e attrezzature tecnologiche di qualità, che ha aiutato a individuare i luoghi dove sono rimaste intrappolate persone sotto le macerie. Sempre ieri, un altro aereo di soccorso iraniano è arrivato a Lattakia e un altro ancora all'aeroporto di Aleppo,dove sono atterrati quattro aerei algerini, oltre a un aereo cargo della Syrian Arab Airlines proveniente dalla Libia. Un ulteriore cargo di soccorso degli Emirati è atterrato all'aeroporto internazionale di Damasco.