14 ottobre 2022 14:54

In un incontro fondamentale per rispondere alla crisi climatica, quasi duecento paesi si riuniranno in Egitto dal 6 novembre per la ventisettesima conferenza delle Nazioni Unite sul clima o Cop27.

Forse ricorderete di aver sentito parlare della Cop26 che si è tenuta a Glasgow, nel Regno Unito, un anno fa. Quella conferenza era stata spesso definita come la nostra “ultima e migliore possibilità” di mantenere l’aumento della temperatura globale entro gli 1,5 gradi centigradi in questo secolo. Da allora le emissioni hanno raggiunto livelli record dopo essere scese a causa dei lockdown per la pandemia di covid-19. Solo quest’anno abbiamo assistito a decine di disastri catastrofici, dalla siccità nel Corno d’Africa alle inondazioni in Pakistan, Sudafrica e Australia, passando per gli incendi e le ondate di calore in Europa, Stati Uniti, Mongolia e Sudamerica, tra gli altri.

Come ha detto il 3 ottobre il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres: “Su ogni fronte climatico, l’unica soluzione è un’azione decisa e solidale. La Cop27 è il luogo in cui tutti i paesi possono dimostrare che stanno partecipando a questa lotta e lo stanno facendo insieme”. E così, mentre i disastri naturali s’intensificano e la guerra infuria in Ucraina, cosa possiamo aspettarci da questo importante vertice?

Cosa succede alle conferenze Cop
Le Conferenze delle parti si tengono nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfcc), che quest’anno compie trent’anni, essendo stata creata durante il vertice della Terra di Rio del 1992. La Cop27 si terrà nella città turistica egiziana di Sharm el Sheikh.

Le Cop permettono alla comunità internazionale di stabilire un’equa ripartizione delle responsabilità per affrontare il cambiamento climatico. Ovvero chi deve guidare la lotta per la riduzione delle emissioni, chi deve pagare per la transizione verso nuove forme di produzione energetica e chi deve compensare coloro che già subiscono gli effetti dei cambiamenti climatici. Permettono inoltre ai diversi paesi di concordare le regole per il rispetto degli impegni, o i processi per trasferire fondi e risorse dagli stati ricchi a quelli più poveri. E offrono l’opportunità di condividere le più recenti scoperte scientifiche sul cambiamento climatico.

La posta in gioco è comunque alta, e si profilano alcuni punti di dibattito fondamentali

Altrettanto importante è il fatto che le riunioni della Cop concentrano l’attenzione internazionale sulla crisi climatica e sulle risposte per affrontarla. Questo genera una pressione sui paesi affinché assumano nuovi impegni o, perlomeno, svolgano un ruolo costruttivo nei negoziati.

La Cop27 è meno importante della Cop26?
Per certi versi, la Cop27 è meno significativa della Cop26. Quest’ultima, la prima in due anni dopo il rinvio dovuto al covid-19, era il termine entro il quale i paesi dovevano prendere impegni per nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni in base alle regole dell’accordo di Parigi del 2015.

Quell’accordo ha permesso ai diversi paesi di assumere i propri impegni, con l’idea che sarebbero diventati più ambiziosi ogni cinque anni. Glasgow era essenzialmente un grande test per verificare se l’accordo fosse effettivamente riuscito a rendere più ambiziosi gli impegni per la lotta al cambiamento climatico.

Glasgow è stata significativa anche perché è stata la prima Cop a vedere il ritorno degli Stati Uniti, dopo il ritiro deciso dall’amministrazione Trump. Sharm el-Sheikh, invece, non è tanto un test sull’accordo in sé. È più un’opportunità per rinnovare l’impegno sulla mitigazione e sui finanziamenti e per decidere i prossimi passi da compiere per realizzare questi impegni.

Ma la posta in gioco è comunque alta, e si profilano alcuni punti di dibattito fondamentali.

Saranno di più i paesi che prenderanno nuovi impegni?
Il primo grande banco di prova della Cop27 sarà l’assunzione da parte dei paesi di ulteriori impegni per la riduzione delle emissioni. A Glasgow più di cento nazioni avevano promesso di raggiungere nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni. Ma questi impegni rimangono ancora ben lontani da quelli necessari per raggiungere gli obiettivi concordati a Parigi. Invece di fornire un percorso per contenere il riscaldamento globale entro 1,5 o 2 gradi centigradi, le politiche uscite da Glasgow dimostrano che nella realtà il mondo è avviato sulla strada di un aumento di 2,4 gradi centigradi entro la fine del secolo. Questo metterebbe in pericolo persone ed ecosistemi in tutto il mondo. Ammettendo che i paesi raggiungano i loro obiettivi.

Eppure alla vigilia della Cop27 meno di venti paesi hanno fornito aggiornamenti e solo pochi hanno delineato nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni o impegni di emissioni nette zero. E tra quelli responsabili di più dell’1 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica solo l’India e l’Australia hanno presentato degli aggiornamenti.

Fateci vedere i soldi
In Egitto si profilano anche tre grandi questioni relative ai finanziamenti per il clima, ovvero i fondi per sostenere la mitigazione e l’adattamento.

La prima questione riguarda il mancato rispetto dei paesi più sviluppati dell’impegno, assunto nel 2009, di fornire cento miliardi di dollari all’anno in fondi per i paesi in via di sviluppo. Il tema è stato sollevato a Glasgow, ma da allora è rimasto lettera morta. E non c’è alcuna prospettiva che questo obiettivo sia raggiunto nel 2022.

In secondo luogo i paesi meno industrializzati, compresi molti stati del Pacifico, chiederanno di concentrarsi maggiormente sui finanziamenti per l’adattamento agli effetti del riscaldamento globale. Finora la maggior parte dei fondi è stata destinata a progetti di mitigazione, che si concentrano sull’aiuto ai paesi meno ricchi nella riduzione delle loro emissioni. Tuttavia, dal momento che i cambiamenti climatici si fanno sentire maggiormente nei paesi più poveri, i finanziamenti per l’adattamento sono diventati ancora più importanti.

In terzo luogo l’accordo di Parigi prevede il riconoscimento di “perdite e danni” probabili, ovvero le distruzioni causate dal cambiamento climatico, dove gli sforzi di mitigazione e adattamento sono stati insufficienti a prevenire i danni. All’epoca non c’era alcun impegno a fornire un risarcimento per le perdite e i danni. In Egitto i paesi in via di sviluppo probabilmente faranno maggiori pressioni per ottenere impegni finanziari da parte di quelli più sviluppati. Il mondo sviluppato è il principale responsabile del cambiamento climatico e può permettersi di spendere più denaro per proteggersi dai suoi effetti. I paesi meno ricchi, invece, sono meno responsabili, hanno maggiori probabilità di subire gli effetti climatici e sono meno in grado di pagare i costi necessari a gestire queste conseguenze.

Dato che i negoziati avranno luogo in Africa, possiamo aspettarci che questi temi abbiano un posto di rilievo durante la Cop27.

I venti di tempesta della politica internazionale
Se in passato è stato difficile raggiungere un accordo globale sull’azione per il clima, i recenti avvenimenti di politica internazionale gettano ulteriori ombre sulle prospettive di una vera cooperazione alla Cop27.

In primo luogo l’invasione russa dell’Ucraina ha portato a un aumento dell’inflazione globale, a un’impennata dei prezzi dell’energia e a crescenti preoccupazioni internazionali sull’accesso all’energia. Tutti questi elementi hanno dirottato l’attenzione – e anche i potenziali finanziamenti – dall’imperativo dell’azione per il clima.

Inoltre la Russia, un attore chiave nei colloqui internazionali sul clima, potrebbe svolgere il ruolo di guastafeste.

Anche la Cina, il principale responsabile di emissioni al mondo, sembra altrettanto insoddisfatta per la situazione politica globale. Questo è evidente dal suo approccio alla politica climatica internazionale. A Glasgow, per esempio, la Cina aveva raggiunto un accordo fondamentale con gli Stati Uniti sulla cooperazione climatica che però è stato sospeso subito dopo la visita a Taiwan della presidente della camera degli Stati Uniti, Nancy Pelosi, nell’agosto 2022.

Non c’è più tempo
Il ministro egiziano per la cooperazione internazionale ha annunciato a maggio che l’azione internazionale alla Cop27 dovrebbe concentrarsi sul passaggio “dalle promesse ai fatti”. Questo significa obiettivi per ridurre le emissioni, ma i padroni di casa sono stati chiari sulla necessità che gli stati ricchi rispettino gli impegni finanziari assunti. Le manifestazioni del cambiamento climatico hanno reso questa preoccupazione urgente per molti paesi meno industrializzati che ne stanno già sentendo gli effetti.

È chiaro che questi colloqui rappresentano un momento fondamentale per il pianeta. Rischiamo di non avere più tempo per evitare la catastrofe climatica.

(Traduzione di Federico Ferrone)

Questo articolo è uscito su The Conversation.

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