Non c’è tranquillità per l’Irlanda del Nord. Londra, tramite il ministro Chris Heaton-Harris, ha confermato che saranno indette nuove elezioni nella regione. Ancora non è stata fissata una data ufficiale, anche se si parla già del 15 dicembre prossimo, ma dovranno svolgersi entro 12 settimane. Sono le seconde nel giro di pochi mesi, dopo quelle svolte nel maggio scorso quando dalle urne erano emersi vincitori per la prima volta nella storia i nazionalisti dello Sinn féin. Un risultato storico per il partito che negli anni dei Troubles era il braccio politico dell’Irish republican army (Ira). 

Tuttavia, da allora non sono riusciti a formare un governo insieme al Democratic unionist party, la principale forza unionista scivolata al secondo posto. Secondo gli accordi del Venerdì Santo del 1998, infatti, nazionalisti e unionisti devono condividere il potere, governando insieme. Ma il Dup ha ostruito qualsiasi sforzo per creare un esecutivo. Giovedì è fallito l’ultimo tentativo - il quarto da maggio - di eleggere lo speaker del parlamento di Stormont.

E il motivo è la Brexit. O meglio: il protocollo nordirlandese compreso nell’intesa tra Londra e Bruxelles sulla Brexit. Quello che prevede una sorta di confine nel mar d’Irlanda per le merci che viaggiano tra le sei contee dell’isola e il resto del Regno Unito, con i relativi controlli dei beni nei porti di Belfast e delle altre cittadine nordirlandesi.

Un compromesso trovato per evitare un confine rigido tra l’Irlanda del Nord e la Repubblica d’Irlanda, che rischierebbe di minare la pace raggiunta proprio nell’aprile del ‘98. Il Dup vuole quantomeno modificarlo, se non proprio cancellarlo, e per questo ha bloccato la formazione del nuovo governo.

Le minacce degli unionisti

AP Photo/Peter Morrison

Il protocollo è percepito come uno smacco per la comunità unionista che guarda a Londra ma che di fatto – e controvoglia – ora è più che mai vicina a Dublino. Una comunità, tra l’altro, che ha votato in maggioranza per uscire dall’Unione europea e che oggi si trova a dover fare i conti con le conseguenze della Brexit. Per i gruppi lealisti più radicali, invece, si tratta di un vero e proprio affronto e da diversi mesi ormai hanno alzato il livello di tensione con scontri e intimidazioni. Ieri il Loyalist Communities Council - di cui fanno parte i rappresentanti delle formazioni paramilitari lealiste più o meno in pensione - ha avvertito delle «terribili conseguenze» in caso non ci fossero modifiche al protocollo. Nella lettera, come riporta il Belfast Telegraph, si mette in dubbio addirittura il supporto al cessate il fuoco dei gruppi paramilitari. Dichiarazioni roventi che però sono indirizzate in primis a Londra, visto che è il Regno Unito a dover trovare una soluzione negoziale con l’Ue. 

Non sono serviti gli inviti a trovare un’intesa da parte del neo premier Rishi Sunak e del segretario di Stato per l’Irlanda del Nord Chris Heaton-Harris, quest’ultimo in carica dal 6 settembre dopo l’elezione di Liz Truss. Il Dup, però, non ha cambiato posizione. Heaton-Harris, dopo che l’ultimatum della mezzanotte tra il 27 e il 28 è stato superato, si è detto «estremamente deluso», aggiungendo che i nordirlandesi «meritano un governo pienamente funzionante».

Ma la linea dura del partito unionista sembra sia piaciuta ai propri sostenitori, quindi il leader Jeffrey Donaldson sta tenendo il punto già dallo scorso febbraio, quando gli unionisti si sono ritirati dal governo. Michelle O’Neill, vice presidente dello Sinn féin e premier designata del Nord Irlanda, ha accusato la controparte di una mancanza totale di leadership.

Una società divisa

Dalla nuova tornata elettorale, però, potrebbe uscire una società ancora più polarizzata, in cui saranno compresse le idee moderate. E non è detto che dopo le urne si riesca a formare un governo, anzi. Donaldson ha infatti chiarito che il problema rimane il protocollo: senza un suo cambiamento il Dup non tornerà al potere. Ha alzato un muro, come quelli che ancora oggi dividono i quartieri cattolici e protestanti a Belfast. I nazionalisti, che per la prima volta avevano diritto alla premiership, continuano a reclamare ciò che gli spetta secondo il patto del ‘98.

Nel frattempo si allungano i mesi di impasse politica e istituzionale, che in realtà già da anni attanaglia la regione, mettendo a dura prova la sua economia e stabilità. Sempre O’Neill ha definito l’ostruzionismo di «coloro che negano la democrazia» come «un insulto per i lavoratori e le famiglie che lottano per riscaldare le loro case». Il fattore economico può giocare un fattore nella breve campagna elettorale, con imprenditori e aziende che premono per avere un governo efficiente vista il livello raggiunto dall’inflazione nel paese.

Tuttavia, le divisioni storiche della società nordirlandesi sono ancora evidenti. Poco più di un mese fa sono stati annunciati i risultati del censimento svolto nel 2021 in tutto il Regno Unito. In Nord Irlanda, anche in questo caso per la prima volta nella storia, è stata certificato il sorpasso della popolazione cattolica, il 45,7 per cento, ai danni di quella protestante, il 43,4 per cento. Una nuova maggioranza demografica nella regione attesa da tempo, ma che potrebbe avvicinare il momento di un referendum sull’indipendenza. Almeno è quanto sperano i nazionalisti. 

Tra Londra e Dublino

Sunak, come tutti i suoi predecessori dal 2016, si trova a gestire il dossier dell’Irlanda del Nord dovendo far fronte alle necessità negoziali con Bruxelles da una parte e alle spinte interne delle comunità delle sei contee dall’altra. Nel suo discorso di insediamento il primo ministro conservatore ha parlato di «unire il paese, non a parole ma con le azioni». Dichiarazioni a cui ha risposto Donaldson: «Unire il nostro paese significa sostituire il protocollo con accordi che rispettino e ripristinino la posizione dell’Irlanda del Nord nel Regno Unito. L’integrità del mercato interno britannico deve essere adeguatamente protetta». Di certo l’instabilità nel partito Tory, tra dimissioni, scandali e rapide successioni, non ha favorito la ricerca di una soluzione.

Nel frattempo Dublino non è rimasta a guardare. Il taoiseach (il capo del governo) Micheal Martin negli scorsi giorni aveva ventilato l’ipotesi di una autorità congiunta insieme a Londra per occuparsi dell’Irlanda del Nord. L’idea era quella di mantenere un ruolo consultivo da parte del governo irlandese nella gestione delle sei contee.

Un’ipotesi che ha trovato da una parte l’appoggio nello Sinn féin e dall’altra il rifiuto sia di Londra che degli unionisti nordirlandesi. Il Dup ha minacciato che in tal caso il Belfast Agreement sarebbe «completamente disonorato». A oggi, però, a pochi sembra realmente interessare l’applicazione degli accordi di pace.

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