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Siria, il conflitto "per procura" nel 2022 ha provocato circa 3.800 morti, il più basso dal 2011: ma da allora sono morte quasi 500mila persone

Siria, il conflitto "per procura" nel 2022 ha provocato circa 3.800 morti, il più basso dal 2011: ma da allora sono morte quasi 500mila persone
É quanto emerge dal rapporto elaborato dall’Osservatorio siriano per i diritti umani. Solo nell'anno appena trascorso sono morti 1.627 civili, di cui 321 bambini e 209 deceduti per mine anti-uomo o bombe inesplose
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DAMASCO (AsiaNews) - In Siria nel 2022 sono morte almeno 3.825 persone a causa del conflitto civile, un numero che - seppur consistente - rappresenta il dato più basso dalle prime rivolte legate alla Primavera araba nel marzo 2011, sfociate poi in una guerra per procura fra potenze regionali e globali. É quanto emerge dal rapporto elaborato dagli esperti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani, una Ong con base nel Regno Unito e una fitta rete di informatori sul territorio, fra le fonti più citate in questi anni di violenze nel Paese arabo, sebbene sul conto dell'organizzazione gravino sospetti di opacità e inaffidabilità. Quando, infatti, nel maggio del 2012 ci fu la strage di Hula, nella provincia siriana di Homs, la responsabilità per le 110 persone uccise durante un'esecuzione sommaria, venne attribuita ai militari dell'esercito siriano. In realtà, contrariamente a quanto sostenne l'Osservatorio, fu invece opera dei cosiddetti "ribelli", miliziani di AlQaida super armati (chissà da chi). Anche il New York Times mise in luce con diversi articoli il fatto che la Ong in realtà era costituita da una sola persona, con sede a Coventry, che riceveva (e forse riceve ancora) finanziamenti dal governo britannico.

In oltre un decennio sono morte quasi mezzo milione di persone. La guerra ha affossato l’economia e distrutto buona parte delle infrastrutture. Fra le vittime del 2022 si contano 1.627 civili, di cui 321 bambini. Almeno 209 morti, la metà delle quali minori, sono legate a mine-antiuomo nel sottosuolo o residuati bellici inesplosi e abbandonati sul terreno. A questi si aggiungono i 627 decessi fra militari siriani e 217 combattenti di milizie fedeli a Damasco. L’Osservatorio conta 562 combattenti dello Stato islamico uccisi, 387 delle Forze democratiche siriane e affiliati, oltre a 240 combattenti di altre fazioni di opposizione. L’anno più sanguinoso resta il 2014, con almeno 111mila morti. L’intensità dei combattimenti è gradualmente diminuita negli ultimi due anni in diverse aree, soprattutto nella provincia di Idlib (nord-ovest), dove Hayat Tahrir al-Sham (ex Jabhat al-Nusra) controlla circa metà del territorio e ha sottoscritto un cessate il fuoco, che regge a fronte di occasionali focolai di violenze.

Il caos e la mancanza di sicurezza. Il direttore dell’Osservatorio Rami Abdel Rahman sottolinea che buona parte delle morti è legata al “caos” e alla “mancanza di sicurezza” che si registrano ancora nel Paese. A questi si sommano le decine di raid da parte di Israele e gli attacchi dello Stato islamico (IS, ex Isis), ancora attivo sul territorio con piccole cellule o lupi solitari nel deserto siriano. Grandi aree, tra cui le pianure agricole e i pozzi di petrolio e gas sono ancora al di fuori del controllo del governo, in particolare il settore curdo nel Nord-Est, le aree attorno a Idlib e la zona cuscinetto controllata da Ankara nel Nord.

Il ritorno dei profughi, ma la Siria non è ancora sicura. I numeri in costante calo vengono interpretati in modo positivo da alcuni governi, che considerano il Paese pacificato e sicuro, tanto da permettere il rientro dei milioni di profughi e rifugiati che lo hanno abbandonato negli anni più bui. In realtà Ong e attivisti per i diritti umani smentiscono con forza queste affermazioni, sottolineando che la situazione sul terreno non permette il ritorno di persone già in condizioni di estrema difficoltà. Fra gli elementi critici la detenzione, le sparizioni forzate e le violenze contro ex ribelli e oppositori che decidono di rientrare contando su una apparente “riconciliazione”. Negli ultimi anni più ancora delle armi sono state le sanzioni internazionali e il Caesar Act imposto dagli Stati Uniti a colpire la popolazione, vittima di punizioni collettive ingiuste e di “sofferenze senza fine” che hanno fatto esplodere la “bomba della povertà”.