27 febbraio 2023 09:51

Quando il 25 luglio 2021 il presidente tunisino Kais Saied ha sospeso l’attività delle istituzioni prendendosi i pieni poteri, ha voluto citare una battuta del generale De Gaulle per rispondere a chi lo criticava: “Alla mia età non comincerò certo una carriera da dittatore”. Tuttavia, dopo gli eventi degli ultimi giorni, quella frase appare sempre meno credibile.

Il capo di stato tunisino sembra aver scelto di riallacciarsi alla tradizione autoritaria del paese, ma soprattutto ha fatto sprofondare la Tunisia in un incubo razzista consegnando alla rabbia popolare gli immigrati provenienti dall’Africa subsahariana. Scene di caccia all’uomo si sono verificate nella grande città di Sfax. Molti migranti, ora, si nascondono per la paura.

Utilizzando parole molto dure, l’Unione africana ha denunciato le “dichiarazioni sconvolgenti” di Saied.

La settimana scorsa il presidente tunisino aveva affermato che “l’immigrazione clandestina fa parte di un complotto per modificare la demografia della Tunisia affinché venga considerata come un paese solo africano, e non più anche arabo e musulmano”. Si tratta di una versione tunisina della teoria della “grande sostituzione” portata avanti dall’estrema destra francese. In questo senso non stupisce che Saied abbia ricevuto su Twitter il sostegno di Éric Zemmour, ex candidato alla presidenza francese e paladino di questa tesi.

I migranti neri sono diventati capri espiatori per una crisi economica e sociale devastante

Sui social network tunisini circolano cifre inverosimili: nel paese vivrebbero fino a due milioni di migranti subsahariani irregolari, a fronte di una popolazione di 13 milioni di abitanti. I dati delle organizzazioni specializzate parlano invece di circa 250mila immigrati, ovvero una percentuale molto bassa rispetto alla popolazione.

Ma il punto fondamentale è un altro, e risiede nella trasformazione dei migranti neri in capri espiatori per una crisi economica e sociale devastante. Da mesi i social network sono pieni di attacchi contro i migranti, con pretesti sempre diversi. La novità è che ora le tesi diffuse dalle frange marginali del web sono sostenute anche ai più alti livelli dello stato.

Il contesto è significativo. Kais Saied, infatti, attraversa un’impasse politica, come dimostra il fatto che la partecipazione alle ultime elezioni è stata inferiore al 10 per cento. Come ben sappiamo, in tutto in mondo lo straniero è un bersaglio ideale per distogliere l’attenzione da altri problemi.

Il presidente può ancora contare su un solido sostegno popolare, dopo aver messo fine nel 2021 al caos politico che paralizzava il paese e aver neutralizzato l’influenza del partito islamista Ennahda. Nonostante l’affluenza bassissima alle elezioni, dunque, la popolazione continua a fidarsi di un presidente che si presenta come l’uomo della provvidenza che salverà la Tunisia.

Ma la deriva degli ultimi giorni è preoccupante. Saied ha ordinato l’arresto di alcuni oppositori, tra cui giornalisti e addirittura sindacalisti, con il rischio di entrare in conflitto con la potente sigla sindacale Ugtt, finora piuttosto moderata.

La società civile tunisina, che nel corso dei dodici anni trascorsi dalla rivoluzione ha mostrato tutta la sua vivacità, oggi deve affrontare una nuova sfida incarnata dalla caccia ai migranti e dal giro di vite contro gli oppositori.

In autunno l’autore franco-tunisino Hatem Nafti ha pubblicato un saggio intitolato Tunisie, vers un populisme autoritaire? (La Tunisia verso un populismo autoritario?). Evidentemente quel punto interrogativo non serve più. Kais Saied, ex professore di diritto costituzionale, è tornato a utilizzare metodi che la Tunisia sperava di aver dimenticato per sempre.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it