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  • Venerdì 28 ottobre 2022

Sono iniziati i complessi negoziati di pace per l’Etiopia

Forze governative e ribelli del Tigrè si stanno incontrando in Sudafrica dopo due anni di guerra, ma le aspettative sono basse

Un camion distrutto nella regione del Tigrè (AP Photo/Ben Curtis, File)
Un camion distrutto nella regione del Tigrè (AP Photo/Ben Curtis, File)
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Da martedì in Sudafrica sono iniziati i primi negoziati di pace fra il governo etiope e i ribelli della regione settentrionale del Tigrè, opposti da quasi due anni in una guerra che ha causato decine di migliaia di morti e milioni di profughi. Il conflitto nel secondo paese più popoloso dell’Africa (dietro la Nigeria) ha provocato un’emergenza alimentare nella regione e destabilizzato l’intera area del Corno d’Africa, a pochi anni di distanza dalla storica pace fra Etiopia ed Eritrea.

I negoziati sono iniziati dopo diverse trattative segrete, con la mediazione degli Stati Uniti, e dopo che ad agosto era stata rotta una tregua informale durata cinque mesi. Da allora si è tornati a combattere e un’intensa offensiva delle forze governative, appoggiate dall’esercito eritreo, ha portato il governo del primo ministro Abiy Ahmed a conquistare almeno tre città del Tigrè.

La delegazione dei ribelli è arrivata in Sudafrica su un aereo militare statunitense, accompagnata dall’inviato speciale per il Corno d’Africa, Mike Hammer. Gli Stati Uniti e l’ONU saranno gli osservatori dei negoziati voluti dall’Unione Africana, l’organizzazione intergovernativa che comprende tutti i paesi del continente riconosciuti dalla comunità internazionale. I mediatori designati sono gli ex presidenti di Nigeria e Kenya, Olusegun Obasanjo e Uhuru Kenyatta, e l’ex vicepresidente del Sudafrica, Phumzile Mlambo-Ngcuka. L’obiettivo di questa prima sessione di colloqui è stato definito “volutamente poco ambizioso”: si punta a mettere le basi per future discussioni.

I ribelli chiedono un immediato cessate il fuoco, la fine dell’isolamento della regione, l’invio di aiuti umanitari e il ritiro delle truppe eritree: tutte misure che il governo di Abiy Ahmed non sembra disposto a concedere, in particolare dopo i recenti successi militari.

L’esercito governativo durante un’offensiva nel Tigrè(AP Photo/Ben Curtis, File)

La guerra nel Tigrè iniziò nel novembre 2020, quando Abiy Ahmed, poco più di un anno dopo aver ricevuto il premio Nobel per la Pace, inviò l’esercito nella regione con l’intento di rimuovere le autorità locali del Fronte di Liberazione, accusate di aver messo in discussione la sua autorità e di aver attaccato alcune basi militari.

Le radici del conflitto sono più profonde: l’attuale Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (TPLF), nella sua precedente espressione politica, aveva guidato per decenni la coalizione Fronte Rivoluzionario Democratico del Popolo Etiope, stabilmente al governo. L’etnia tigrina era dominante rispetto alla più numerosa oromo. L’ascesa politica di Abiy Ahmed, di etnia oromo, nonché la successiva pace con l’Eritrea, avevano marginalizzato il potere dei tigrini, isolandoli nella regione in cui continuavano a governare. L’amministrazione federale aveva accusato il TPLF di voler tentare di recuperare la supremazia perduta con la forza.

L’evoluzione della guerra ha visto una prima fase favorevole ai ribelli, che erano arrivati nello scorso novembre a 190 chilometri dalla capitale Addis Abeba. A dicembre l’esercito federale aveva respinto il TPLF all’interno dei confini del Tigrè, a marzo era stata sancita una tregua. Da agosto sono ricominciati gli scontri: le forze governative ed eritree hanno di recente conquistato la città di Shire, a nord della capitale regionale Mekelle, sede di un importante aeroporto, e i centri meridionali di Korem e Alamata. Alcune fonti locali indicano che anche le città di Axum, Adwa e Adigrat sarebbero ora sotto il controllo governativo.

Le notizie sono parziali e non verificabili in modo indipendente perché tutta l’area del conflitto è chiusa ai giornalisti ma anche agli aiuti umanitari. Le comunicazioni con il resto del paese sono limitate e la regione del Tigrè, che ha sei milioni di abitanti, è sotto una sorta di assedio dall’inizio della guerra. Le linee di comunicazione sono per lo più state tagliate, banche, uffici e negozi sono chiusi, l’assistenza medica è ridotta al minimo fra chiusure di ospedali e assenza di medicine. Attualmente scarseggiano anche cibo, benzina ed elettricità, mentre le forze governative non permettono l’ingresso di aiuti umanitari.

Lo stesso isolamento rende impossibile fare un bilancio reale dei morti causati dalla guerra, sia direttamente che indirettamente per fame. Alcuni fonti accademiche e di organizzazioni umanitarie parlano di centinaia di migliaia di morti, mentre entrambi gli eserciti sono stati accusati, spesso con testimonianze dirette, di atrocità e crimini contro la popolazione civile.

L’assenza di testimonianze neutrali ha poi portato a un ampio ricorso da parte di entrambe le parti ad accuse e false notizie, nonché a un generale clima di sfiducia che ha condizionato l’inizio dei negoziati. I quasi due anni di guerra hanno fortemente intaccato la reputazione internazionale del primo ministro etiope Abiy Ahmed. Era stato premiato con il Nobel nel 2019, in modo rivelatosi prematuro e frettoloso: il suo primo anno di governo sembrava andare nella direzione di una pacificazione, democratizzazione e crescita economica dell’Etiopia.

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