BRUXELLES. Riconoscere alla Bosnia-Erzegovina lo status di Paese candidato all’adesione all’Ue. La proposta della Commissione europea è di quelle assordanti, perché da una parte aggiunge un tassello al processo di allargamento e abbraccia ancora di più l’area dei Balcani e dell’ex Jugoslavia. Ma soprattutto perché non sembra che Sarajevo abbia tutte le carte in regola per meritarsi questo endorsement. L’esecutivo comunitario rimette tutto nelle mani del Consiglio. Saranno i Ventisette a decidere, in occasione del vertice dei leader di dicembre, se sostenere o meno questa proposta di via libera, ma intanto il rapporto sullo stato dell’arte in Bosnia-Erzegovina allegata al pacchetto allargamento e alla richiesta di concessione dello status non brilla per progressi. Al contrario, le criticità non mancano.

Sul fronte della giustizia, la Bosnia-Erzegovina «è in ritardo sulla riforma, senza progressi nel rafforzamento del settore». Il terzo potere dello Stato dunque non offre garanzie. «A causa della mancanza di un autentico impegno politico nei confronti dello Stato di diritto e del percorso dell'Ue, l'integrità generale del settore giudiziario ha continuato a deteriorarsi». Da notare come l’Ue abbia un contenzioso aperto con la Polonia per le politiche anti-giudici, e un altro con l’Ungheria per il mancato rispetto dello Stato di diritto.

Quanto alla sicurezza la situazione solleva molti punti di domanda. La Bosnia-Erzegovina, scrive la Commissione nel suo rapporto, «non ha compiuto progressi nella lotta alla criminalità organizzata e alle organizzazioni criminali che operano nel paese». Non solo. Il Paese dispone di una strategia in materia di lotta al commercio di droghe, ma l'adozione del corrispondente piano d'azione «è ancora in sospeso». Ancora, alle autorità nazionali si chiede di «proseguire gli sforzi nella lotta al terrorismo e nella prevenzione dell'estremismo violento», oltre ad «adottare urgentemente una nuova legge sull'antiriciclaggio e sul finanziamento del terrorismo» in linea con l’impalcatura giuridica dell’Unione europea.

Su concorrenza, liberalizzazione dei mercati, tutela dei consumatori e proprietà intellettuale si registrano «progressi limitati o nulli», mentre «limitati» sono i passi avanti sull’agenda verde, sempre più centrale e prioritaria nell’azione dell’Ue e dei suoi Stati membri. «Nessun progresso evidente», poi, in materia fiscale e, di conseguenza, nella lotta all’evasione e all’elusione. Ma in prospettiva, l’Ue rischia di dare soldi europei ad un Paese che non saprà spenderli. «Per quanto riguarda la politica regionale e il coordinamento degli strumenti strutturali, Bosnia-Erzegovina, Macedonia del Nord e Serbia non hanno compiuto progressi». I fondi strutturali rappresentano uno dei capitoli di spesa più cospicui dell’Unione, dopo quelli per la politica agricola comune. Si parla di miliardi di euro. Di fronte a questo biglietto da visita, l’Ue vuole comunque velocizzare il processo di adesione.

Il rapporto non sembrerebbe giustificare questo via libera, ma l’Ue decide di concederlo sulla base di intenzioni e promesse. «La concessione dello status di candidato è un'offerta dell'Europa alla Bosnia ed Erzegovina e al popolo della Bosnia ed Erzegovina», sottolinea il commissario per l’Allargamento, Oliver Varhely. «E' un'offerta non per la classe politica, ma per il Paese», aggiunge, con dichiarazioni che confermano i limiti di azioni di riforme lasciate al nuovo governo e al nuovo parlamento dopo le elezioni del 2 ottobre.

«Cosa va fatto è chiaro, ed è contenuto nel rapporto», continua il commissario, la cui offerta è legata alle manovre militari russe in Ucraina e alle sue conseguenze geopolitiche. L’Ue ha riconosciuto immediatamente lo status di candidato a Ucraina e Moldova, e lo ha promesso alla Georgia. Non dare nulla a Sarajevo, che ha presentato domanda di adesione a febbraio 2016, rischia di creare un senso di frustrazione interno di difficile gestione. Un passaggio della comunicazione agli Stati rileva che la Bosnia-Erzegovina è tra gli «allineati alle misure restrittive dell'UE in risposta alla guerra di aggressione della Russia contro l'Ucraina». C’è poi la questione etnica. La Commissione è consapevole che la comunità serba ha bisogno di concessione. A Bruxelles non è un mistero che i partiti con sede nell'entità Republika Srpska «hanno bloccato le istituzioni legislative ed esecutive a livello statale fino alla primavera del 2022, portando a un blocco quasi completo delle riforme durante quel periodo». Occorre offrire qualcosa in cambio di accelerare il processo di riforme, e dare le stesse prospettive riconosciute ad altri.

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