La Corte costituzionale ha deciso di non intervenire ancora una volta sul testo delle nuove norme riguardanti il carcere ostativo, inserite dal governo Meloni nel decreto Rave e trasformate in legge il 30 dicembre scorso. Ieri, infatti, dopo una breve camera di consiglio, i giudici costituzionalisti hanno rinviato al Tribunale di sorveglianza di Perugia e al Magistrato di sorveglianza di Avellino gli atti con i quali avevano sollevato il dubbio di costituzionalità sull’art.4 bis primo comma dell’ordinamento penitenziario (quello che contiene l’elenco dei reati in relazione ai quali possono essere concessi i benefici e le misure alternative) «nella parte in cui, in caso di condanna per delitti diversi da quelli di contesto mafioso, ma pur sempre “ostativi”, non consente al detenuto che non abbia utilmente collaborato con la giustizia di essere ammesso alle misure alternative alla detenzione».

Nei due casi sollevati davanti alla Consulta si trattava di associazione per traffico di stupefacenti e, rispettivamente, dell’accesso all’affidamento in prova al servizio sociale e alla semilibertà. La Consulta ha affermato che le nuove norme trasformano «da assoluta in relativa la presunzione di pericolosità che impedisce la concessione dei benefici penitenziari e delle misure alternative», e tanto basta, per quel che è di sua competenza. Ora però spetta «ai giudici rimettenti verificare gli effetti della normativa sopravvenuta sulla rilevanza delle questioni sollevate, nonché procedere a una nuova valutazione della loro non manifesta infondatezza».