100 milioni. È la cifra tonda delle persone costrette a lasciare la propria casa alla ricerca di sicurezza e protezione che nel corso del 2022 è stata, per la prima volta, superata. Sono state 103 milioni in tutto il mondo, cioè un essere umano ogni 77. Dieci anni fa la proporzione era meno della metà: un individuo ogni 167. A dare una spinta le fughe dall’aggressione di Putin all’Ucraina e i disastri ecologici e ambientali. Nel 2021 le persone sradicate, per periodi più o meno lunghi, a causa del cambiamento climatico sono state 23,7 milioni. Quasi 6 milioni in modo stabile. «Sfollati» o «rifugiati» che stentano ovunque a essere riconosciuti perché manca un quadro condiviso in grado di far emergere il loro status.

I numeri sono contenuti nella sesta edizione del rapporto su richiedenti asilo e rifugiati redatto dalla Fondazione Migrantes. Uno strumento utile a sprovincializzare il dibattito politico italiano. Questo tende a leggere il fenomeno come se il nostro paese, ultimamente chiamato più spesso «nazione», ne costituisse il centro a causa della posizione al centro del Mediterraneo. Una retorica che sfocia in vittimismo e discorsi allarmastici, allontanando politiche di gestione strutturali. Sia a livello interno che europeo.

IL 70% DI QUEI 103 MILIONI di persone in fuga, infatti, cerca rifugio in uno Stato confinante. Solo una piccola parte ambisce ad andare in Europa e una porzione ancora minore ci riesce. Per farlo deve affrontare viaggi lunghi e pericolosi e mettersi in mano ai trafficanti, perché anche coloro che hanno diritto alla protezione internazionale possono varcare le frontiere solo in maniera illegale. I canali di ingresso regolari sono un aspetto residuale dei percorsi migratori.

Nel territorio dell’Unione, poi, ci sono Stati che fanno già molto più dell’Italia in termini di accoglienza e asilo. A fine 2021, prima dello scoppio della guerra in Ucraina, Roma ospitava 145mila rifugiati, Parigi mezzo milione e Berlino oltre 1,2 milioni. A giugno di quest’anno, nel mezzo della crisi umanitaria di Kiev, nei tre paesi c’erano rispettivamente 296mila, 613mila e addirittura 2.235.000 rifugiati (ucraini inclusi). «Verrebbe da chiedersi chi dovrebbe prendersi i migranti da chi», si legge nella sintesi del rapporto. Soprattutto considerando che in termini relativi, cioè nel rapporto tra popolazione residente e richiedenti asilo/profughi, l’Italia è ancora più indietro rispetto ai partner Ue.

L’ANNO IN CORSO è stato quello che più di ogni altro ha mostrato l’ipocrisia delle politiche europee, il loro carattere discriminatorio e la strumentalità delle retoriche sull’emergenza. «Un’Unione europea e un’Italia “sdoppiate”: solidale con gli ucraini e discriminante e in violazione dei diritti umani e delle convenzioni internazionali per altri. Per qualcuno le frontiere sono aperte, mentre per altri non lo sono nemmeno i porti dopo un naufragio», scrivono nell’introduzione Mariacristina Molfetta e Chiara Marchetti. Dieci milioni di ingressi ucraini in Europa, di cui circa 3,7 diventati presenze fisse, non hanno mandato in crisi né i sistemi sociali, né quelli d’accoglienza del Vecchio Continente. I paesi del blocco di Visegrád, da sempre i più ostili all’ingresso dei profughi di altre guerre, hanno aperto frontiere e porte di casa.

In Italia gli arrivi da Kiev sono stati circa 170mila, quasi il doppio dei 98mila ingressi via Mediterraneo. Mentre il totale degli attraversamenti «irregolari» di tutte le frontiere Ue, di terra e di mare, è di 228.240 fino a settembre scorso. Ingressi che non corrispondono nemmeno al numero di persone, visto che uno stesso soggetto che viene respinto e ritenta il superamento della frontiera, soprattutto lungo la rotta balcanica, viene contato più volte.

LA ROTTA PIÙ LETALE rimane quella del Mediterraneo centrale, dove il report conta 1.295 persone scomparse su un totale di 1.800 nel Mare Nostrum. Preoccupa però la «rotta Canaria»: nel 2021 morti stimati sono stati 1.126, +28% rispetto ale 877 vittime del 2020. Quella rotta, che dalle coste dell’Africa occidentale conduce all’arcipelago spagnolo delle Canarie, segna il record di mortalità relativa: una vittima ogni 20-30 migranti sbarcati.