Mentre gli iraniani scioperano per il terzo giorno consecutivo, i media governativi in Iran diffondono la confessione estorta al rapper Toomaj Salehi. Arrestato il 30 ottobre, rischia la pena capitale. E sono cinque i condannati all’impiccagione per aver assassinato un paramilitare. Di pari passo, continua il ricatto economico: se uscire dal carcere in attesa di processo può costare centinaia di migliaia di euro di cauzione, ora saranno bloccati i conti bancari delle donne senza velo.

IN CONCOMITANZA con la giornata nazionale degli studenti universitari, in queste ore piazza Azadi, la piazza della libertà di Teheran, è meta di un raduno. Si tratta di un luogo simbolico, perché qui il 1° febbraio del 1979 si radunano milioni di persone per celebrare il ritorno in patria dell’ayatollah Khomeini, dopo 14 anni d’esilio. Lo scià è fuggito, è il culmine di una rivoluzione a cui partecipano le diverse anime dell’Iran: i sostenitori di Khomeini ma anche numerose fazioni della sinistra islamica e laica. Quella del 1979 non è una rivoluzione soltanto islamica, la deriva islamica è dovuta al fatto che il clero è meglio organizzato rispetto agli altri attori in gioco. Tornato Khomeini, i suoi adepti prendono il potere e, poco alla volta, mettono fuori gioco tutti coloro che la pensano diversamente.
Ora, si rischia uno scenario simile a quello del 1979: ad animare le proteste innescate dalla morte di Mahsa Amini sono donne e uomini che hanno rivendicazioni molteplici e scandiscono slogan diversi, tra cui il cambio di regime. Nel caso in cui riuscissero nei loro intenti, corrono però il rischio che a dirottare il movimento rivoluzionario siano forze estranee: i monarchici e i Mojaheddin-e Khalq (Mek), le cui bandiere sventolano nelle piazze europee ma non in Iran. Ad auspicare un futuro dell’Iran con a capo monarchici e Mek sono Israele e Stati uniti. Per quanto riguarda un possibile futuro monarchico dell’Iran, i più giovani non hanno memoria dello scià e percepiscono l’erede al trono come un personaggio lontano. I più anziani, invece, ben ricordano le sevizie inflitte dalla polizia segreta.

PER QUANTO RIGUARDA i Mek, Annalisa Perteghella ha scritto un report per l’Ispi, spiegando chi sono i radicali sostenuti dai falchi statunitensi: «Nascono negli anni Sessanta da un gruppo di studenti radicali che univano marxismo e islamismo. Sono tra i primi a condurre la lotta armata contro lo scià e contro i numerosi americani allora presenti nel paese. Dopo la rivoluzione del 1979, il loro leader Masoud Rajavi si ribella alla presa del potere da parte di Khomeini e dà inizio a una nuova lotta armata, questa volta contro la Repubblica islamica. Tra il 1980 e il 1981 l’Iran vive una stagione politica di vero e proprio terrore, segnata tanto dalle epurazioni del neonato regime quanto da attentati e omicidi mirati compiuti dai Mojaheddin» che durante la guerra Iran-Iraq (1980-88) si alleano con Saddam Hussein e lanciano attacchi contro i civili in Iran.

ALLA LUCE di queste considerazioni, in Iran i Mek sono per lo più considerati nemici della patria, e non solo dalle autorità: «Gran parte dell’opinione pubblica ha una pessima opinione di questo gruppo armato e infatti in queste settimane nelle piazze e nelle università iraniana viene scandito lo slogan: No a Maryam Rajavi, No ai Mojaheddin», spiega un’attivista iraniana che preferisce non rendere noto il suo nome perché «combatto contro la Repubblica islamica, non riesco a difendermi anche dai Mojaheddin, che reputo estremamente pericolosi». A margine dell’evento La forza delle donne organizzato da No Peace Without Justice e Le Contemporanee con il sostegno di +Europa, la giovane iraniana aggiunge: «Si tratta di un gruppo che maltratta le donne, la loro leader Maryam Rajavi indossa il foulard e non ha senso che si inserisca in un movimento rivoluzionario innescato dalla lotta contro il velo obbligatorio. Per la loro lotta armata e gli attentati da loro perpetrati contro i civili possono essere in qualche misura paragonati alle Brigate rosse».