L’Europa aspetta ancora l’istituzione nazionale italiana per i diritti umani, e torna a chiederne la realizzazione in tempi rapidi. Un invito rivolto al governo Meloni, poiché in carica, a cui si chiede inoltre di permettere alle organizzazioni attive nel sostegno ai migranti di poter svolgere il proprio lavoro. Sono queste le principali raccomandazioni per il Paese nell’ultima relazione della Commissione sullo stato di avanzamento delle politiche per il rispetto e la tutela dei diritti fondamentali.

Il documento contiene rilievi per tutti i 27 Stati membri. Non c’è solo l’Italia nella lente d’ingrandimento, ma è chiaro che su un tema sempre delicato come l’immigrazione, riportato peraltro dall’attuale esecutivo tricolore al centro dell’agenda europea, si riaccende il dibattito. C’è una sezione della relazione dedicata a quello che viene definito «spazio sicuro», le condizioni cioè in cui le organizzazione della società civile si trovano a portare avanti la propria attività. Il 61% dei soggetti interpellati riferisce di aver incontrato ostacoli di varia natura (attacchi verbali, intimidazioni, aggressioni, narrazioni negative, campagne diffamatorie o disinformazione, attacchi informatici sui loro siti, accanimento burocratico). Se in Polonia questo tipo di esperienze ha riguardato soprattutto i difensori della comunità Lgtbqi, nel caso specifico dell’Italia hanno dichiarato di essere «particolarmente presi di mira» soprattutto i gruppi della società civile che lavorano sui diritti dei migranti.

In un momento in cui in Italia si inizia a guardare con occhio più critico a quanti forniscono assistenza ai richiedenti asilo, soprattutto in mare, le parole di Didier Reynders, commissario per la giustizia, rischiano di influenzare il dibattito politico nazionale e anche i toni del confronto tra Roma e Bruxelles. «Non è sufficiente consentire semplicemente alle organizzazioni della società civile e ai difensori dei diritti di esistere», sottolinea il commissario. Questi soggetti «devono essere sostenuti in modo pro-attivo, adeguatamente finanziati e consultati in modo coerente durante i processi decisionali».

Ad ogni modo la situazione aggiornata al 2022 rileva che lo spazio civico per la promozione dei diritti fondamentali, risulta «ridotto» in metà degli Stati membri, ben 13 su 27. Nella lista figura anche l’Italia (gli altri sono Belgio, Bulgaria, Croazia, Repubblica ceca, Francia, Grecia, Lettonia, Malta, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna).

C’è dunque molto da fare, dunque. «È necessario uno sforzo sostenuto da parte di tutti per garantire che le organizzazioni della società civile e i difensori dei diritti siano protetti, sostenuti e responsabilizzati», il richiamo di Vera Jourova, vicepresidente della Commissione europea, responsabile per i Valori e la trasparenza. Un invito certamente generale e non rivolto alla sola Italia, ma valido certamente anche per lo Stivale, a cui si rimprovera anche un’altra criticità.

Ancora oggi «quattro Stati membri non hanno ancora istituito un’istituzione nazionale per i diritti umani», recita la relazione. L’elenco, qui, recita: Italia, Malta, Repubblica ceca e Romania. Nel caso italiano, si precisa, il motivo di questa mancanza è dovuto ai «ritardi nell’iter legislativo», e la raccomandazione per le istituzioni nazionali è dunque «intensificare gli sforzi» per creare questa Authority.

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