«Bambino, bambino» dicevano dal gommone indicando ai soccorritori la prua. Sul mezzo stracarico 90 persone. Gli uomini in piedi, a poppa o al centro. Oppure a cavalcioni sui tubolari, con un piede in acqua. Le donne e, appunto, i bambini seduti davanti. Erano partiti da Garaboulli intorno alle due di notte, meno di 10 ore prima di essere trovati dalla Geo Barents grazie alle coordinate dell’aereo Colibrì di Pilotes Volontaires che li aveva avvistati dall’alto. Il gommone aveva già iniziato a sgonfiarsi e ondeggiava pericolosamente seguendo il ritmo del mare.

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Arrivati a bordo sono stati accolti dalla gioia dei naufraghi salvati domenica e lunedì. Applausi, grida, strette di mano e qualche abbraccio. In mezzo al mare la solidarietà è un’idea semplice. Si vede in tanti piccoli gesti che uniscono chi salva e chi è salvato. Nella preoccupazione per i più deboli delle persone sul gommone. Nel tenersi stretti dei soccorritori che nei momenti concitati si prendono a vicenda dall’attaccatura posteriore della tuta per evitare pericoli. Nel sorriso e nel pollice in alto del marinaio, un lavoratore filippino, che ha appena saputo che ne sono stati salvati novanta. Nell’offerta di biscotti di un bambino di 10 anni a una di due appena arrivata sul ponte.

Una donna e una bimba sulla Geo Barents, foto di Candida Lobes

Il soccorso di ieri è stato di quelli che si definiscono «tranquilli». Significa che non ci sono morti né feriti, che il barcone non si è ribaltato e nessuno è finito in acqua, che i libici non si sono presentati armi in pugno. È una tranquillità diversa da quella che si intende a terra, perché in qualsiasi momento una mossa sbagliata o l’agitazione che cresce possono cambiare radicalmente la situazione. A volte basta un attimo.

Sul gommone c’erano tutte persone originarie dell’Africa sub-sahariana: quasi la metà del Mali e poi Costa d’Avorio, Guinea Conakry, Ghana, Gambia, Senegal. Sette le donne, tra cui due incinte, e ben 33 i minori. La più piccola ha due anni. Adesso sulla Geo Barents ci sono 254 sopravvissuti. Le autorità non hanno risposto a nessuna delle tante comunicazioni inviate prima, durante e dopo i soccorsi. Continua la navigazione a 30/40 miglia nautiche a nord dalle coste libiche.

A bordo della nave, foto di Giansandro Merli

Nel frattempo più a ovest la Humanity 1 ha realizzato altri due soccorsi: uno tra lunedì e martedì e l’altro ieri mattina. Il primo verso mezzanotte a una barca in legno, con l’aiuto della Louise Michel, mentre una motovedetta libica girava minacciosamente intorno. Sono state salvate 49 persone. Il secondo la mattina, tra le 7 e le 9.30. Su un gommone stracarico viaggiavano 100 persone. Anche in questo caso l’equipaggio della Louise Michel, imbarcazione più piccola e veloce, era arrivato per primo sul posto per «stabilizzare» la situazione: cioè distribuire i giubbotti di salvataggio e valutare eventuali emergenze.

Più tardi la Humanity 1 ha assistito a una pericolosa cattura di un barcone da parte della sedicente «guardia costiera libica». In azione due motovedette, tra cui la 656 classe Bigliani ribattezzata «Zawia» e donata dall’Italia che nel 2021 ne ha anche garantito la manutenzione. Durante la manovra sei persone sono finite in acqua. Fortunatamente i soccorritori della nave umanitaria sono riusciti a metterle al sicuro. Tutti gli altri, invece, sono stati riportati con la forza in Libia. Dove saranno arrestati.

Il recupero delle persone finite in acqua, foto di Nici Wegener/Mv Louise Michel

Sulla Humanity 1 ci sono oltre 250 persone. Mentre scriviamo la nave si sta dirigendo verso nord. Come la Louise Michel che nel pomeriggio ha preso a bordo 33 naufraghi, tra cui cinque minori, in un altro soccorso.