Neanche un funerale ha potuto avere Majidreza Rahnavard, il secondo giovane impiccato in Iran in relazione alla rivolta in corso. Disposizione delle autorità. Inoltre a Mashhad, seconda città del Paese nell’estremo nord-est, la sua abitazione è stata attaccata da sostenitori del regime – probabilmente aderenti alla milizia Basiji – che hanno lanciato pietre e riempito i muri di insulti contro il ragazzo, accusato di aver ucciso due membri delle forze di sicurezza nel corso delle proteste. Annullata la cerimonia che la famiglia intendeva tenere in una moschea della città. Di fronte non sono comunque mancate dimostrazioni di protesta. .

Ieri una serie di nuove stime hanno definito meglio i contorni della repressione scatenata contro il dissenso e le manifestazioni divampate il 16 settembre, dopo la morte della 22enne curda Mahsa Amini. Nella sola provincia di Teheran, fa sapere il procuratore capo della capitale, Ali Alghasi Mehr, delle 400 persone arrestate e giudicate in relazione alle proteste «160 sono state condannate a pene detentive da cinque a dieci anni, 80 a pene da due a cinque anni e altre 160 a pene fino a due anni».

Ma dopo l’esecuzione in sequenza dei due ragazzi di 23 anni, Mohsen Shekari l’8 dicembre e il già citato Rahnavard all’alba del 12, le condanne che destano più rabbia e apprensione sono ovviamente quelle alla pena capitale, che riguarderebbero secondo gli organi giudiziari della Repubblica islamica altre 11 persone arrestate a margine delle proteste e accusate di fatti che prefigurerebbero anche nel loro caso il reato di Moharebeh, di guerra, insulto, ostilità a Dio.

Sotto attacco resta anche l’informazione, o quel che ne resta: l’Associazione dei giornalisti iraniani denuncia l’arresto di 70 reporter, di cui 35 ancora in carcere, nei tre mesi della rivolta. Che fin qui ha visto – lo ricordiamo – circa 20 mila arresti e 500 morti, compresi 68 minori e 62 agenti.