Il lupo bolsonarista si tiene ben stretto sia il pelo che il vizio: non avendo al momento le forze per impedire a Lula di prendere il potere il primo gennaio, cerca quantomeno di creare il caos. Si spiega così la notte di terrore promossa lunedì a Brasilia, con la tentata invasione della sede della Polizia federale e con vari veicoli dati alle fiamme.

UNO SCENARIO di guerra che si è svolto proprio nel giorno in cui un emozionatissimo Lula ribadiva il suo «impegno a costruire un vero stato democratico, a garantire la normalità istituzionale e a lottare contro le ingiustizie», ricevendo per la terza volta, presso il Tribunale superiore elettorale, il diploma di presidente eletto – quello che gli consente, insieme al suo vice Geraldo Alckmin, di assumere l’incarico l’1 gennaio – «in nome della libertà, della dignità e della felicità del popolo».
Una cerimonia difficile da digerire per quella parte di elettorato bolsonarista che, rifiutando l’esito del ballottaggio e persino invocando l’intervento dell’esercito, aveva già organizzato manifestazioni e blocchi stradali in segno di protesta. Tanto più che in quello stesso giorno il ministro della Corte suprema Alexandre de Moraes aveva ordinato l’arresto di uno dei principali esponenti delle proteste contro i risultati del voto: l’indigeno José Acácio Serere Xavante (un pastore evangelico che, secondo i leader xavante, non ha mantenuto alcuna relazione con la sua etnia), il quale, su richiesta della procura nazionale, sarà in custodia cautelare per dieci giorni con l’accusa di aver compiuto atti antidemocratici.

Dietro le azioni vandaliche di lunedì, tuttavia, nessuno dubita che ci sia Bolsonaro, il presidente uscente che non si rassegna ad abbandonare la scena e che già aveva chiesto, invano, l’annullamento di parte delle preferenze, denunciando senza prove un presunto malfunzionamento nel software di alcune macchine per il voto elettronico. Proprio sabato, del resto, aveva rotto il silenzio che manteneva da 40 giorni, esprimendo davanti ai suoi sostenitori «dolore nell’anima» per la sua sconfitta al ballottaggio ed esortando le forze armate a restare unite per affrontare il socialismo e garantire la libertà del popolo brasiliano.

NON CI SI PUÒ SORPRENDERE allora, come sostiene il deputato federale del Pt Paulo Pimenta, che «nessuno sia stato arrestato» e che i suoi sostenitori, ben addestrati, equipaggiati e certi dell’impunità, abbiano potuto trovare riparo nel quartier generale dell’esercito a Brasilia o, come nel caso del blogger Oswaldo Eustáquio (già sotto indagine per il caso delle cosiddette milizie digitali), addirittura nel Palácio da Alvorada: la residenza ufficiale del presidente dove pare che Michelle Bolsonaro stessa si sia presa cura di loro. «L’omissione complice di Bolsonaro e la posizione condiscendente dei comandanti militari – ha proseguito Pimenta – ha reso possibile l’azione terrorista dei radicali dell’estrema destra».
Non per niente, il giorno dopo, partecipando a un evento della Marina, Bolsonaro non ha detto una parola sugli eventi della notte prima, ma ha fatto leggere un suo messaggio di elogio ai militari che «hanno lottato e sempre lotteranno per impedire qualsiasi iniziativa arbitraria che possa minare gli interessi del paese».

MENTRE IL PRESIDENTE uscente consuma le sue ultime cartucce, Lula si sta tuttavia già adoperando per garantire un rapido ritorno alla tranquillità: il suo primo ordine ai nuovi comandanti militari, le cui nomine saranno presto rese note, sarà infatti proprio quello di mettere un punto agli atti dei bolsonaristi di fronte alle diverse caserme del paese.