Salva di annunci securitari di Rishi Sunak ieri ai Comuni. Obiettivo primario: i migranti “economici” albanesi che provengono in numeri crescenti dalle pericolose – e troppo spesso fatali – traversate della Manica su piccoli natanti. Nel tentativo di dimostrarsi inflessibile sulla sempre più urgente (da un punto di vista elettorale) questione della vigilanza delle coste nazionali, il premier britannico ha sciorinato una serie di misure che dovrebbero contenere il fenomeno.

Tra queste spiccano il trasferimento immediato di diecimila migranti dai “costosi” alberghi nei quali sono stati piazzati in uno dei tanti mesti villaggi vacanze sulla costa inglese; l’aumento dello staff preposto al vaglio delle richieste di asilo; la creazione di un “comando operativo piccole imbarcazioni” comprensivo di esercito, National crime agency e uno staff di civili per contrastare gli sbarchi; l’invio di agenti della polizia di frontiera britannica presso l’aeroporto di Tirana; l’introduzione l’anno prossimo di una quota numerica massima nazionale per gli arrivi; l’assicurazione che chiunque approdi nel Regno Unito illegalmente sarà “detenuto e rapidamente rimpatriato” e che non potrà più ritardare la propria espulsione attraverso “false affermazioni”, quest’ultima misura in riferimento alle dichiarazioni mendaci spesso offerte dai migranti per ottenere lo status di rifugiati.

Oltre all’aumento del personale addetto onde snellire l’enorme ritardo con cui le richieste di asilo intasano il dispositivo di verifica delle richieste – ne è stato vagliato finora solo l’un per cento – Sunak ha anche reso assai più vulnerabile chi avanza tali richieste, attenuando le misure cautelari che dovevano proteggerlo con l’obbligo di addurre “prove oggettive” del fatto che si è vittime di schiavitù moderna, affermazioni spesso impossibili da dimostrare. Decisioni spietate, che hanno attratto persino le critiche di Theresa May, che aveva introdotto l’attuale regolamentazione.

Pur restando di dimensioni risibili nel suo complesso rispetto alle cifre europee, l’immigrazione clandestina nel Regno Unito ha visto aumentare esponenzialmente negli ultimi due anni la propria componente albanese, tanto da renderla la nazionalità più rappresentata nelle carceri britanniche. Nel 2020 gli albanesi sbarcati erano una cinquantina, l’anno successivo ottocento e nei primi nove mesi di quest’anno sono arrivati in più di undicimila, ammontando a circa un terzo degli arrivi totali di migranti nel paese; l’85% di loro, circa settemila persone, ha chiesto asilo nel Regno Unito. Finora è stato accettato il 53% delle richieste, soprattutto quelle di donne e bambini. Il resto sono giovani maschi adulti, attratti dalla prospettiva di un guadagno decente in un paese ritratto dai trafficanti di uomini (anche mediante annunci “pubblicitari” su TikTok) come un Eden dei consumi. Ci sono anche molti bambini non accompagnati che rischiano di cadere fin troppo facilmente preda di un moderno sistema schiavile.

La gestione del fenomeno da parte di Londra (Suella Braverman – l’assai discussa pasionaria xenofoba prima dimissionaria dagli Interni e poi malauguratamente richiamata da Sunak – aveva definito l’afflusso “un’invasione”) ha suscitato l’indignazione del primo ministro albanese Edi Rama, un autocrate al potere da nove anni che sovrintende a una situazione economica interna disastrosa, e a manifestazioni di protesta della comunità albanese a Londra. Le misure servono a placare l’elettorato (non solo) di destra che si sente “invaso” oltre che a scongiurare il minacciato ritorno di Nigel Farage in politica. E arrivano dopo il fiasco delle deportazioni un Ruanda, di cui Sunak ha promesso il ripristino.