Sale la tensione tra barricate e sparatorie in Kosovo e in particolare a Mitrovica nord, la parte della città a maggioranza serba dove tre giorni fa sono arrivati oltre 300 agenti armati della polizia speciale kosovara. 

Come se non bastasse il presidente della Serbia, Aleksandar Vucic, ha annunciato ieri sera che chiederà alla Nato di consentire all’esercito e alla polizia serba di dispiegare le sue truppe in Kosovo.

La richiesta è arrivata dopo l’annuncio da parte del Kosovo del rinvio ad aprile 2023 delle elezioni locali anticipate, previste in quattro municipalità a maggioranza serba il prossimo 18 dicembre (oltre a  Mitrovica nord, Zubin Potok, Zvecan, Leposavic), per tentare di disinnescare le tensioni che si stanno verificando tra i due gruppi etnici dopo la cosiddetta “crisi delle targhe” automobilistiche serbe e tra i due governi di Pristina e Belgrado.

Ovviamente il presidente serbo, prima riformista filo europeo e poi diventato più filo nazionalista, «non si illude» sulla possibilità che la Nato accetti la sua richiesta, ma Vucic vuole ricordare il diritto della Serbia di avanzare questa richiesta.

La risoluzione Onu

In effetti la risoluzione Onu 1244 del 1999 (23 anni fa) prevede che la Serbia possa dispiegare fino a mille soldati in Kosovo con l’assenso del comandante della Kfor. Il presidente serbo ha poi aggiunto: «Il 15 dicembre il governo di Pristina chiederà l'adesione all’Ue. Non è certo una buona decisione, perché solo i paesi internazionalmente riconosciuti possono chiedere l'adesione all’Ue».

Intanto i due valichi di Jarinje e Brnjak, nel nord del Kosovo al confine con la Serbia, sono stati temporaneamente chiusi al traffico. La polizia kosovara ha spiegato la decisione ricordando le barricate e ai blocchi stradali istituiti dalla popolazione serba locale per protesta contro l’arresto di un agente serbo della polizia del Kosovo, accusato di di terrorismo e attentato all’ordine costituzionale.

Una nuova proxy war?

Questi i fatti. Ma come interpretarli? Sta forse scoppiando una nuova proxy war (guerra per procura) della Russia in Kosovo attraverso l’“alleata” Serbia contro Pristina sostenuta dall’occidente?

Questo è il timore che scuote le cancellerie dei paesi Nato appena accusate dall’estone Kristi Raik, direttore del Foreign Policy Institute presso l’International Centre for Defence and Security, sulle pagine di Foreign Policy «di essere esitanti e di aver paura di una sconfitta russa sul terreno in Ucraina».

Ma se l’occidente, e la Francia in particolare, frenano sulle ambizioni di Kiev che vuole riconquistare tutte le terre perdute, si potrebbe presto stagliare all’orizzonte l’incubo di ogni statista del vecchio Continente: due guerre in contemporanea sul suolo europeo.

Operazione speciale 

La situazione nel nord del Kosovo è carica di tensione interetnica, dopo l’arrivo degli agenti. Una operazione motivata dalla dirigenza di Pristina con la necessità di garantire l’ordine e la sicurezza dei residenti dopo la serie di incidenti dei giorni scorsi tra polizia e gruppi di serbi che si oppongono alla politica del governo del premier Albin Kurti.

L’operazione kosovara tuttavia ha suscitato apprensione e proteste da parte della popolazione serba locale, in maggioranza nel nord, e anche del governo di Belgrado, tornato ad accusare Pristina di puntare all’espulsione dei serbi dal Kosovo attraverso politiche di pulizia etnica.

Per la premier serba Ana Brnabic, con le sue azioni unilaterali e destabilizzanti il premier Kurti ha portato la situazione al limite di un nuovo conflitto.

A vigilare sul rispetto degli accordi sul terreno ci sono le truppe di pace della missione Nato Kfor, al comando proprio dell’Italia e del generale Angelo Michele Ristuccia che non a caso ha lanciato l’allarme nei giorni scorsi.

Il timore è quello di un’escalation serba fomentata e sostenuta dai russi contro i il governo kosovaro di Pristina così da aprire un nuovo fronte anti occidentale nel “cortile di casa”. Meglio disinnescare la miccia prima che sia troppo tardi.

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