Con la visita di Xi Jinping in Arabia saudita, dove il leader cinese ha incontrato oltre al principe assassino Bin Salman anche un folto gruppo di capi di stato e di governo arabi (c’erano anche Al Sisi e Mahamoud Abbas), sembra che il mondo sia cambiato e soprattutto siano mutati radicalmente i rapporti storici tra Riad e Washington, uno dei decennali pilastri del Medio Oriente dove il Patto di Abramo salda Israele ai partner degli americani come Emirati arabi e Barhein.

I CINESI OGGI NUOTANO nel Golfo – dove è bene ricordare nessuno ha imposto sanzioni a Mosca – in quello che per oltre 70 anni è stato un «lago» americano e gli Stati Uniti hanno condotto le loro guerre, direttamente o per procura (dall’Iran-Iraq a quelle contro Saddam Hussein del 1991 e del 2003). Eppure quel Golfo, dove passa il 40% del petrolio mondiale, gli Usa non l’hanno certo abbandonato: troviamo le portaerei della quinta flotta in Bahrein, il comando del terzo corpo d’armata in Qatar, le oltre trenta basi navali e aeree disseminate tra mare e deserto in Kuwait, Arabia Saudita e Oman. E gli Usa restano, al momento, i maggiori fornitori di armi della regione.

La «svolta cinese» però appare quasi epocale. Era il 1945 _ la seconda guerra mondiale doveva ancora finire – quando il presidente Franklin Delano Roosvelt e il sovrano wahabita Ibn Saud si incontrarono nel canale di Suez a bordo dell’incrociatore Quincy per forgiare il patto di ferro tra Stati Uniti e Arabia Saudita che da allora era stato continuamente rinnovato: sicurezza americana contro petrolio saudita. Quell’accordo, per cui Roosevelt pur di ingraziarsi il sovrano rinunciò per due giorni (diversamente da Churchill) a fumare il sigaro e a bere wiskey, è quasi del tutto ingiallito.

Una svolta negativa, vista da Riad, è stata la mancata risposta Usa all’attacco dei droni degli Houthi yemeniti alle raffinerie saudite nel settembre 2019. Adesso, dicono nel Golfo, avanzano i nuovi equilibri (o squilibri) di un mondo multipolare.

OGGI CON 330 MILIARDI di dollari di interscambio l’anno è la Cina, non più l’America di Biden, il maggior partner commerciale dei sauditi che sono diventati anche i più importanti fornitori di petrolio di Pechino insieme a Russia e Iran (per altro nemico giurato di Riad). Il principe Bin Salman, erede al trono del padre, è in rotta di collisione con gli Usa da quando Biden, all’inizio del suo mandato, fece diffondere un rapporto dell’intelligence che individuava nel principe Bin Salman il mandante dell’assassinio del giornalista saudita dissidente Jamal Khashoggi, ucciso e fatto a pezzi nell’ottobre 2018 nel consolato saudita di Istanbul. Ritenuto da Biden un pariah, in realtà il principe, a causa anche della guerra in Ucraina e della crisi energetica, ha costretto il presidente americano a fare marcia indietro quando i sauditi, che guidano l’Opec Plus con la Russia, hanno rifiutato seccamente la richiesta americana di aumentare a produzione petrolifera per abbassare le quotazioni sui mercati.

In luglio il viaggio a Gedda di Biden avrebbe dovuto segnare il passo per una riconciliazione ma quel saluto pugno contro pugno tra il presidente Usa e il principe fece soltanto indignare la stampa americana. La quale per altro in questi giorni relega nelle pagine interne la notizia che la magistratura americana ha archiviato il caso dell’omicidio Khashoggi affermando che il principe assassino ha diritto all’immunità nonostante le accuse contro di lui «siano credibili».

AI CINESI NATURALMENTE tutto quanto riguarda giustizia e diritti umani interessa in maniera assai relativa: sono in testa alla classifica mondiale di Amnesty International per le condanne a morte, seguiti da Iran e Arabia Saudita.

Xi Jinping, accolto a Riad in pompa magna con cortei di cavalli e sventolìo di bandiere cinesi, ha firmato con i sauditi 30 miliardi di dollari di contratti (con investimenti in ogni settore tecnologico, energetico e anche militare) affermando che «è cominciata una nuova era nelle relazioni con Arabia saudita e mondo arabo nel pieno rispetto della sovranità, della cultura e delle tradizioni di ciascuno». Musica per le orecchie arabe meno per gli americani, visto che i sauditi hanno firmato intese anche con la cinese Huawei che come è noto è da tempo sotto sanzioni Usa.

COSA STA ACCADENDO lo spiega un articolo di Foreign Affairs, secondo il quale gli Stati Uniti devono abbandonare il loro «narcisismo strategico» in cui chiedono ai loro alleati di schierarsi continuamente su ogni questione. Ce la fanno con gli europei ma già nella Nato c’è un Paese come la Turchia che con Mosca e l’Iran agisce come gli pare. Gli alleati americani del Medio Oriente e del Golfo vogliono partecipare agli accordi con gli Usa ma sentirsi anche liberi di muoversi nei loro rapporti con Cina e Russia.

Biden per ora si «consola» inaugurando in Arizona uno stabilimento della maggiore produttrice mondiale di semiconduttori, la Tscm di Taiwan, un investimento da «solo» di 40miliardi di dollari, l’equivalente del piano della commissione Ue per l’intero continente europeo. Così oggi va il mondo.